Intervista a Nabi Ousman, mediatore culturale di CRI a bordo della nave Responder
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di Jenelle Eli – Comunicazione emergenza IFRC attualmente a bordo della Responder nel Mediterraneo.Come mediatore culturale della Croce Rossa Italiana, Nabi Ousman da oltre due anni accoglie le persone migranti che arrivano in Italia. Dalla fine di settembre è salito a bordo della nave di soccorso Responder, dove si occupa di gestire le attività di post rescue che Croce Rossa fa a bordo. La nave, grazie alla partnership tra Croce Rossa e MOAS (Migrant Offshore Aid Station), perlustra le acque tra Libia e Italia, andando in soccorso e prendendosi cura delle persone che rischiano la propria vita per cercare di arrivare in Europa. Nabi è cresciuto in Costa D’Avorio e da adolescente ha trascorso molto tempo in Libia. Prima di compiere 18 anni, ha attraversato il Mar Mediterraneo in cerca di una vita migliore. È arrivato in Sicilia dove ora, attraverso Croce Rossa, aiuta le altre persone migranti. Nabi parla inglese, italiano, francese, arabo, bambara, dioula, mandinga, yoruba e pidgin.
Qual è il ruolo di Croce Rossa a bordo della Responder?La nostra squadra si prende cura dei migranti che vengono portati a bordo: si tratta di un lavoro molto impegnativo. Abbiamo un team medico – un dottore e due infermiere – che assiste chi ne ha bisogno. In questo senso, siamo come un’ambulanza galleggiante, non certo un ospedale che può curare ogni cosa. Ci assicuriamo che le persone abbiano cibo e acqua, forniamo loro kit igienico sanitari e metalline affinchè siano al caldo durante la notte.Come reagiscono i migranti quando ti sentono parlare nella loro lingua?Quando sentono qualcuno della Croce Rossa parlare una lingua che conoscono, si tranquillizzano. È una cosa molto semplice, che però per loro significa molto. Riescono ad aprirsi di più nei nostri confronti, si sentono al sicuro.
Hai incontrato qualcuno sulla Responder la cui storia ti ha particolarmente commosso?Molte persone piangono quando riescono a salire a bordo. Una donna del Benin non riusciva a smettere di piangere. Sono andato da lei e le ho chiesto: “Che succede? C’è qualche problema?” Mi ha risposto: “No, nessun problema. Sono così felice perché ora so che non morirò”. Le sue erano lacrime di gioia, non di disperazione. Inoltre, mi disse: “Ho avuto talmente tanti problemi da quando sono partita dal mio paese. La mia unica speranza era quella di vedere, in mare, una grande nave. Quando questo è successo, ho capito di essere salva. Non sto piangendo perché provo dolore, ma perché sono troppo felice”.Dentro di me provo qualcosa di forte quando vedo uomini ormai cresciuti che piangono. Una volta, portammo a bordo molti uomini provenienti dalla Sierra Leone. Piangevano tutti. “Sapevamo che saremmo morti nel giro di poche ore”, ha detto uno. Vedere un uomo così grande piangere per la disperazione, pensare che potrebbe essere un marito, un padre: mi sono sentito davvero felice che non abbiano trovato la morte in mare.Nel 2008 hai lasciato la Libia per venire in Italia. Quanto è stato differente il tuo viaggio rispetto a coloro che si trovano ad attraversare il mare adesso?In quel periodo, se compravi il biglietto per salire su un’imbarcazione per l’Italia, era praticamente certo che ce l’avresti fatta. C’era carburante a sufficienza e a bordo avevi cibo e acqua. Oggi, la gente viene fatta partire a bordo di gommoni o barche di legno che non hanno alcuna possibilità di arrivare nelle acque italiane. Inoltre, a quel tempo la Libia era meno pericolosa. Oggi regna il caos, non ci sono leggi, i migranti vengono sfruttati in ogni momento.
Qual è la parte più difficile che si affronta nel rimanere per un mese a bordo di una nave?Non è difficile stare tutto questo tempo sulla nave perché so di essere qui per uno scopo: salvare vite umane. Non importa se c’è da rimanere per uno o due mesi. Posso farlo senza problemi. Da un punto di vista fisico, risulta un po’ difficoltoso non potere uscire per fare un passeggiata in città, mi limito a fare su giù per le scale tutto il giorno.Perché ti piace lavorare per la Croce Rossa?Mi piace perché aiutiamo le persone in molti modi differenti. E mi piace perché lo facciamo a prescindere dal loro status e dalla loro cittadinanza. Se non fossimo stati qui ad aiutare i migranti, saremmo stati in un altro posto ad aiutare altre persone. In un modo o nell’altro, la Croce Rossa è una parte di me. Quali sono le tue speranze per i migranti che hai incontrato?La mia speranza è che ogni migrante possa avere un sicuro avvenire e raggiungere i suoi sogni, anche se so che il loro percorso non sarà semplice. Tutti noi, per una ragione o per l’altra, abbiamo dovuto lasciare i nostri paesi con sogni e speranze. In molti hanno perso la vita in mare, cercando di trovare una vita ed un futuro migliori: non li dimenticherò mai.Croce Rossa Italiana, con il supporto della Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, è partner di MOAS in una missione congiunta di salvataggio a bordo delle navi Responder e Phoenix. Le due imbarcazioni perlustrano ed effettuano salvataggi lungo la rotta del Mediterraneo Centrale tra il Nord Africa e l’Italia, dove si è verificata la maggior parte degli oltre 3600 annegamenti registrati nel corso del 2016. Le attività di ‘search and rescue’ vengono effettuate dagli operatori MOAS e, una volta che i migranti sono saliti a bordo, interviene Croce Rossa nel fornire assistenza, primo soccorso, cibo, acqua, coperte e servizi essenziali.