“I nostri colleghi hanno bisogno di non sentirsi soli”. Il racconto del medico ufficiale della CRI dalla trincea di Bergamo
Oltre 60 operatori sanitari hanno già risposto all’appello della Croce Rossa per portare un aiuto concreto nelle zone più colpite del Paese
“A parte il tempo strettamente necessario per mangiare e dormire, sono sempre in corsia”. Il dottor Cosimo Prete, ufficiale medico del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, è uno dei tanti operatori sanitari che hanno risposto all’appello della CRI per portare un aiuto concreto nelle zone più colpite del Paese. In corsia per dodici ore al giorno, il dottor Prete è operativo in un ospedale periferico di Bergamo, nel cuore dell’emergenza. Sessantanove posti letto tutti riservati ai pazienti Covid-19. “Il turnover è impressionante – racconta al telefono in un brevissimo momento di pausa – vediamo ogni giorno purtroppo pazienti che non ce la fanno e anche intere famiglie ricoverate”. Una situazione che definisce “surreale”, lui che di emergenze ne ha conosciute tante. “Sono stato in Mozambico, in Iraq, Haiti e sono partito dopo la devastazione dello tsunami. Diventa una regola di vita: si fa la valigia e si parte”.
Ma questa volta è diverso. Questa volta l’inferno non è dall’altra parte del mondo e non ha le caratteristiche di una calamità naturale. Questa volta si combatte contro un nemico che “ti fa perdere tutti i riferimenti e i parametri che credevi di avere” a 50 km da casa. Una distanza fisica limitata ma un abisso emotivo. “Una caratteristica di questa epidemia è l’isolamento. Ti fa sentire veramente da solo. Essere qui a Bergamo mi fa sentire impotente nei confronti della mia famiglia, qualcuno di loro sta anche combattendo contro questo virus. Mi consolo pensando che la mia presenza a casa non avrebbe cambiato la situazione”.
Si combatte notte e giorno nella trincea dell’ospedale di Bergamo. “Sono entrato nella stanza di un paziente in affanno respiratorio e ho visto che qualcuno di noi aveva attaccato sul muro il disegno del nipote con la scritta ‘Nonno ti voglio bene’. Ecco, è stato un gesto che mi ha fatto commuovere e mi ha riportato per un attimo alla normalità”.
Essere un operatore sanitario in questo momento è anche questo: un piccolo gesto per alleviare la sofferenza dei pazienti e accorciare le distanze tra loro e le loro famiglie.
“In questo momento i nostri colleghi hanno bisogno di non sentirsi solo in questa battaglia e noi ci siamo, per questo e continueremo a combattere accanto a loro”.