Una nuova Solferino per I volontari della Mezzaluna Rossa Libica

Comitato Internazionale Croce Rossa e Mezzaluna Rossa

Da più di dieci mesi, il campo diretto dalla Mezzaluna Rossa Libica a Bengasi è un centro di accoglienza per 70.000 persone e ne vede di nuove arrivare ogni giorno.Se tutto è da ricostruire nella Libia post Gheddafi, le radici e i rami della Società Nazionale sono invece solidi. Per i suoi volontari, la Mezzaluna Rossa Libica è una seconda famiglia. Kais aveva appena nove anni quando ha fatto i suoi primi passi con la Mezzaluna Rossa nel 1984, seguendo i corsi di primo soccorso. Nel 1994 è diventato un volontario e, dopo poco, il direttore della sezione della Mezzaluna Rossa Libica di Bengasi. Il suo amico Oussamah, un medico di 29 anni, Ziad, un ingegnere meccanico e coordinatore dei volontari locali, e Walid, suo fratello minore, sono impegnati come volontari da più di 15 anni. E come loro ce ne sono migliaia in Libia. A Bengasi, quando il 17 febbraio 2011 è iniziata la rivoluzione, gli apparati dirigenti della Mezzaluna Rossa Libanese si sono trovati presi fra il loro ruolo tradizionale di ausiliari del governo e i cambiamenti politici che scuotevano il paese dall’est all’ovest, minando la loro capacità di azione. I volontari di Bengasi si sono allora riuniti di propria iniziativa per portare aiuto avendo come parola d’ordine «neutralità». Migliaia di altri giovani si sono spontaneamente uniti ad essi.

 Libia, feriti di Misurata

Gestiti per la maggior parte da personale straniero che è fuggito con l’aggravarsi delle ostilità, gli ospedali si sono trovati senza mano d’opera. A fronte della situazione, i volontari hanno indossato le proprie pettorine e hanno fatto del loro meglio per rispondere ai bisogni. Nessuno si aspettava che il conflitto degenerasse in una guerra civile che sarebbe durata mesi. «La rivoluzione in Libia è stata veramente quella di una gioventù alla ricerca della libertà, decisa a liberare il suo paese e a crearsi un futuro migliore», afferma Patrick Schwärzler, capo della delegazione del CICR a Bengasi. «È stato come una nuova Solferino. I volontari sono partiti sul campo senza altri mezzi che la loro buona volontà e la passione della gioventù. Hanno constatato i bisogni e hanno fatto tutto il possibile per portare aiuto dove potevano, come potevano».Non funzionando più le reti delle telecomunicazioni, è stato il passaparola che ha preso il sopravvento. I volontari hanno così potuto localizzare la posizione e le esigenze delle vittime del conflitto. Senza queste informazioni, il CICR non avrebbe mai potuto assistere quelle persone, afferma Ghafar Bishtawi, Delegato alla Protezione del CICR. I volontari e il CICR hanno lavorato a stretto contatto sul campo, seguendo l’avanzata del conflitto giorno dopo giorno. Mentre il CICR si occupava di protezione, di diffusione del diritto internazionale umanitario e della consegna di materiali, i volontari evacuavano i civili presi in ostaggio dal conflitto, curavano i feriti, senza discriminazioni, distribuivano cibo, acqua, coperte, kit igienici, lavoravano duramente 24 ore su 24, utilizzando le proprie auto e pagando di tasca propria tutte le spese. I volontari e il CICR sono spesso stati i primi e i soli ad essere presenti sui fronti più pericolosi a portare soccorso ai feriti, ma ciò non ha pregiudicato in alcun modo il loro coraggio e la loro determinazione.Numerose persone che fuggivano dai combattimenti si sono trovate sparse nei campi per sfollati in tutto il paese. A partire dal mese di marzo, i volontari di Bengasi si sono presi carico di uno di questi campi. Da marzo a dicembre, il campo ha accolto circa 75.000 rifugiati e 500 famiglie. Ziad, Oussamah, Kais, Walid e circa 200 volontari vi hanno lavorato senza sosta. Oussamah, il medico, ha preso in carico la gestione della clinica del campo, mettendo in piedi un sistema di rotazione di specialisti volontari affinché tutte le malattie possano essere curate.Dall’inizio di dicembre, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), in Libia c’erano ancora circa 63.000 sfollati che necessitavano di assistenza. A peggiorare le cose, un numero crescente di rifugiati siriani che fuggivano dai combattimenti nel proprio paese arrivavano quotidianamente in Libia.Dall’inizio di dicembre il campo della Mezzaluna Rossa Libica è stato sempre pieno, ospitando 600 adulti, 49 famiglie e 100 rifugiati dalla Somalia, dalla Romania, dal Chad, dal Sudan e dal Bangladesh. C’era una lunga lista d’attesa anche prima che arrivassero 53 rifugiati siriani.(Perrine Bell)Tratto dal sito della Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa:http://www.ifrc.org/fr/nouvelles/nouvelles/middle-east-and-north-africa/libya/un-nouveau-solferino-pour-les-volontaires-du-croissant-rouge-libyen/Tradotto da Serena Corniglia (Caffè Dunant, n. 486 del 13 gennaio 2012)

 

Categorie: GiovaniNews

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