Diario di una crocerossina ad Haiti

Pubblicato quotidianamente su Il Riformista

(26 gennaio 2010) – Mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza come crocerossina ad Haiti nella speranza che più persone possibile capiscano cosa sta succedendo in questo paradiso perduto. Purtroppo, ora, non ho buone notizie: se non vi va di pensare troppo, vi consiglio di saltare questo articolo perché non vi metterà di buon umore. Ora sono seduta per terra in uno spiazzo davanti all’aeroporto di quello che resta di questa città: vedo atterrare enormi aerei carichi di aiuti umanitari, decine di elicotteri sorvolano il nostro campo in fase di allestimento, l’odore di morte aleggia, è come una guerra. Sono arrivata da cinque giorni con il convoglio umanitario di Croce Rossa Italiana da Santo Domingo, la congestione dei voli su Port au Prince ci costringe a raggiungere Haiti via terra. Otto ore di strade sconnesse in una natura bellissima e poi il confine, un cancello fatto di ferro e filo spinato che ci spalanca le porte dell’inferno. Ci sono camion di aiuti, file interminabili e centinaia di sfollati che non escono, a questo cancello si decide vita e morte di persone che non sanno cosa sarà di loro. Ad Haiti ci sono ancora i cadaveri per le strade, gente disperata li abbandona agli incroci nella speranza che qualcuno li prenda e li porti via, non possono occuparsi dei morti quando la vita dei vivi è appesa ad un filo. Muoversi in città senza una mascherina o una bandana è a dir poco impossibile. Siamo stati all’ospedale della città, di 19 edifici solo 7 sono rimasti in piedi e comunque nessuno li vuole occupare. Il risultato? Migliaia di feriti sia per il sisma che per malattie croniche vivono e vengono curati accampati nel giardino. I medici arrivati da tutto il modo fanno quello che possono, la Croce Rossa cura in un ospedale da campo ferite che in Italia sarebbero da camera sterile, non ci sono anestetici e le infezioni aumentano con il passare delle ore. Il responsabile norvegese ci mostra la sala operatoria ovviamente attendata, la gente ha lo sguardo perso nel vuoto, ma a lamentarsi sono in pochi: sanno di essere fortunati ad essere vivi. Alle mie spalle il campo base della Croce Rossa Italiana è in piena attività, si allestiscono tende, cucine, potabilizza tori, energia elettrica, bagni, fogne: stiamo costruendo una città. Intanto la vita continua. La popolazione si è subito riorganizzata per quanto possibile, ma i mercatini improvvisati si appoggiano a muri pericolanti, carrozzieri di fortuna lavorano accanto ad asili crollati come fossero stati di sabbia. La vita e la morte sono molto molto vicine. Se davvero dovesse arrivare la temuta nuova scossa sarebbe una tragedia nella tragedia, non esistono zone rosse e una nuova scossa farebbe crollare gli edifici rimasti in piedi per inerzia. E intanto seduta per terra conto gli aerei. Sono le sei di mattina, le tende sono già un forno, ma fuori l’aria è ancora fresca. Davanti a me salgono colonne di fumo nero e acre, mi dicono che qualcuno sta bruciando i cadaveri su copertoni di camion. Chiudo il pc, bisogna andare a lavorare: non c’è tempo da perdere. (27 gennaio 2010) – Sono le 6, ormai la sveglia è automatica e appena c’è un po di luce si ricomincia a lavorare. Il caldo è sempre più oppressivo e la polvere che respiriamo è una costante. Il campo base è quasi pronto, speriamo di potere spostare tutti entro domani mattina. Ieri è stata una giornata campale, ma la soddisfazione è tanta e il morale alto. Il gruppo di Croce Rossa Italiana non si ferma un attimo e basta uno sguardo per capirsi. Tutti i team leader delle Società nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, dopo aver fatto un sopralluogo nel campo, sono rimasti a dir poco impressionati, tanto da farci i complimenti ufficiali per il lavoro svolto. Un riconoscimento che fa piacere e che in situazioni del genere è ancora più importante. Siamo qui a rappresentare 150mila volontari italiani ed è per noi un orgoglio e un onore sapere che la nostra struttura logistica è apprezzata a livello internazionale. Dall’Italia intanto ci arrivano altre notizie che ci confortano: anche Eleonora Abbagnato ha lanciato un appello per la raccolta fondi di Croce Rossa Italiana, dopo Cesare Prandelli e altri testimonial. Gesti importanti e per la sensibilizzazione degli italiani di fronte a un dramma immenso. Le giornate scorrono veloci, il sole che sorge alle sei e il buio che arriva alle 18. Ma il tempo si dilata e sembra quasi di aver lasciato l’Italia da tanto tempo. Per le piccole cose ci si arrangia come si può, ora la cucina è quasi pronta e ieri sera abbiamo anche mangiato un piatto di pasta caldo tutti insieme intorno ad un tavolo, una cosa non da poco. In più il team che lavora alla potabilizzazione dell’acqua è riuscito nel miracolo: ieri abbiamo avuto acqua e quindi la doccia: sarà banale, ma è proprio vero che si apprezzano le cose più semplici solo quando ti vengono tolte. Quando usciamo dal campo con i nostri mezzi, lo scenario è sempre terribile, anche se si vede procedere l’attività umanitaria. Le nostre distribuzioni di acqua, cibo, kit igienico-sanitari, medicinali agli ospedali da campo, continuano senza sosta. Certo, c’è ancora molto da fare, ma la macchina degli aiuti va avanti a spron battuto senza perdere neanche un istante. Anche un sorriso, però, è molto importante in questi momenti di emergenza. Regalare un sorriso a un bimbo che ci guarda dalla strada è sempre importante, una di quelle cose che riscalda il cuore: anche il profilo psicologico diventa sempre più una questione importante. “Ama, conforta, lavora, salva”, questo il motto delle corpo delle Infermiere Volontarie. E qui a Port au Prince, queste parole diventano realtà minuto dopo minuto. (28 gennaio 2010) – Port-au-Prince. Ore 8, il “Campo Italia” è finalmente in piedi. Il primo volontario della Croce Rossa spagnola entra nella struttura che sarà utilizzata dalle 19 squadre di emergenza (il più grande dispiegamento Croce Rossa di sempre) arrivate ad Haiti da tutto il mondo. Dopo giorni di lavoro gli operatori della Croce Rossa Italiana possono mettere a disposizione un prezioso punto di riferimento per gli aiuti. Ad ogni tenda va dato un nome: su quella più grande non abbiamo dubbi. Si chiamerà L’Aquila. Un collegamento simbolico con l’Italia, che testimonia la continuità dell’impegno al fianco di chi è più debole. Il campo, che si trova a 500 metri dall’aeroporto di Port-au-Prince, preparerà 1500 pasti al giorno. Quando le cucine saranno a regime però, i pasti saranno distribuiti anche alla popolazione. Un contributo prezioso per tentare di spegnere negli occhi di questa gente la domanda di aiuto. Serve acqua. Solo qui, dove l’acqua è preziosa, riusciamo a capirne il valore. Il nostro potabilizzatore che produrrà 8000 litri d’acqua all’ora è una soluzione tecnica fondamentale. Un secondo è in arrivo con la nave Cavour. Il Campo Italia ospiterà 300 operatori (delle 19 ERU impiegate) da tutto il mondo, dall’Europa fino al Giappone, passando per Quatar e Corea. Il rapporto con le istituzioni haitiane è straordinario. Ieri la firt lady haitiana Madame Preval, insieme alla presidentessa della Croce Rossa haitiana, ha visitato il campo con Leonardo Carmenati capo missione e responsabile emergenze CRI. Al termine dell’incontro Carmenati ha comunicato la decisione di regalare alla Croce Rossa di Haiti una tenda di 100 metri quadri che sarà utilizzata come scuola e centro per l’infanzia. Il primo di molti segni concreti della nostra presenza, che vogliamo lasciare alla gente di haiti. Resteremo qui, il più a lungo possibile. Non li lasceremo soli. (29 gennaio 2010) – Pronti via si ricomincia, dormire cinque ore sembra quasi un lusso, sveniamo appena spenta la luce e ci svegliamo al primo C130 che atterra, di solito verso le sei. Stamani mi sono svegliata pensando alle altre sorelle in missione, ne abbiamo 8 sulla Cavour che speriamo di vedere arrivare davanti a Port au Prince per il 2 di febbraio, sono in navigazione e stanno allestendo le nuove sale mediche ed operatorie che si trovano nella portaerei. Per loro la missione sarà ancora più lunga e più intensa perché una volta che avranno trovato il modo di trasportare i feriti a bordo saranno attive 24h su 24h. E’ una bella missione anche la loro, missione che ricorda il glorioso passato delle tante navi ospedali e delle tante crocerossine che ci hanno lavorato sopra e che, in alcuni casi, hanno anche perso la vita per servire i più vulnerabili. Un po’ come nel film di Rossellini che vale la pena di vedere anche solo per capire da dove veniamo noi italiani come operatività e umanità. Ho trovato un nuovo posto dove nascondermi per scrivere il diario, dico nascondermi non perché ci sia nulla di male nell’aggiornarvi su quello che succede qui al Campo Base della Croce Rossa, ma perché ci sono così tante cose da fare che è difficile dire di no a qualcuno che ti chiede un aiuto, un favore, un adattatore elettrico, un lavoro per la moglie, un palo per la tenda, un po’ di vernice per pitturare le pareti della clinica. Già la clinica: da quando il campo si è riempito sono iniziati anche i piccoli incidenti tra i volontari che stanno finendo l’allestimento del campo. Ho finito ora di comprimere una ferita profonda ad una mano di un operatore danese: non mi preoccupano tanto le ferite, quanto il tenerle pulite in questo marasma di polvere che ci invade ovunque. Da ieri c’è un cartello su un muro che recita ‘CLINIC’ e ci ho portato il danese e la descrizione è d’obbligo. Si entra da una porta senza porta in una stanza con solo muro grezzo e qualche ragnatela per decoro, in terra ghiaia, sulla ghiaia due brandine. Una serve per il paziente, l’altra è la farmacia: ok niente panico, lascio al dottore il danese e parto alla ricerca del capo campo, la povera Miriam che ha risposte per tutti, ma avrà bisogno di un mese di vacanze quando finirà questa operazione. Insomma, per non farla lunga, anche per noi la situazione rimane emergenziale, il dottore è troppo educato per chiedere, ma gli abbiano fornito in mezz’ora la vernice italiana avanzata dalla sistemazione della cucina, un telo plastificato per il pavimento e un cestino della spazzatura con tappo. Piccolo fresco esempio delle condizioni in cui operiamo, ma della prontezza con cui risolviamo quasi tutto quello che ci viene presentato come problema. Anche e soprattutto in situazioni come questa il genio italiano fa sempre la differenza. Ora proprio non posso andare oltre perché c’è tanto da fare ma vi posso regalare ancora una immagine………sono decine e decine gli elicotteri militari e civili che ci sorvolano atterrando e decollando dall’aeroporto vicino. Volano bassi e veloci, sanno dove vanno, sono in missione, qui c’è tanta tanta energia. (30 gennaio 2010) – I bagni funzionano, le docce pure e la cucina sta per sfornare una valanga di penne al pomodoro e tutto grazie al grande lavoro degli untimi 10 giorni, sì 10 perche in tutta onestà i primi 5 giorni l’idea di scrivere il diario già c’era ma, dormendo in terra e mangiando barrette energetiche, senza corrente e tanto meno accesso ad internet, mi risultava un filino difficile. La tenda ufficio della quale sono responsabile è quella che si potrebbe dire una reception: registro i volontari della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa che da tutto il mondo sono venuti ad Haiti, ognuno di loro ha una specialità. Dalla ragazza inglese che non diresti mai, ma è una specialista nel costruire fogne al delegato coreano specializzato in pediatria. Quando si lavora in queste missioni ed in condizioni cosi estreme tutti sono indispensabili e non è retorica, la ragazza inglese è tanto importante quanto il dottore coreano, una cosa non funziona se prima non è stata organizzata l’altra è come un gigantesco puzzle. Ho due panche di legno e relativo tavolo, il mitico capo elettricista che è italiano e da luce a tutto il campo, mi ha fornito di presa multipla, il massimo del lusso, ho attaccato la stampante che è già sommersa di polvere e il caricatore per la radio del campo che è la nostra salvezza quando usciamo per tubi, fili, pane e tutto quello che serve. Uscire è importante perche ti dà la possibilità di vedere come si stanno muovendo gli aiuti e la differenza da un giorno all’altro è tanta. Stamani uscendo a prendere il pane nel forno italiano della Fondazione Rava, abbiamo assistito alla consegna di viveri al campo profughi davanti all’aeroporto. La Croce Rossa sta anche consegnando gli ‘shelter kit’ (3 teli plastificati, vanga, piccone, martello, chiodi, filo di ferro e piccolo manuale di montaggio ): la famiglia che li riceve provvede personalmente al loro assemblaggio dando quindi un valore aggiunto all’operazione, si costruiscono il proprio riparo eventualmente aiutandosi tra loro, il fattore psicologico è molto importante, gli uomini delle famiglie che prima lavoravano possono cosi continuare a prendersi cura delle famiglie. Ieri ho visto una delle cose più tristi da quando sono arrivata in questo posto maledetto e bellissimo: decine di bambini , con addosso le divise della loro scuola, che tutte le mattine si recano su quello che è rimasto del’edificio. Sotto quelle macerie sono morti quasi 100 dei loro compagni e la struttura è totalmente pericolante ma loro non sanno dove andare, dicono che quella è la scuola e ci vogliono tornare, i pavimenti sono pieni di quaderni, le aule diroccate hanno ancora qualche banco dentro, sulla lavagna la lezione del 12-01-10. Mi dispiace rovinarvi la giornata ma è cosi, ogni scarpetta nera tra le macerie è un bambino rimasto coinvolto, la speranza è che siano scappati o al massimo ricoverati in ospedale ma l’espressione dei piccoli che vagano tra ciò che resta dell’edificio non promette nulla di buono.  (1 febbraio 2010) – Oggi dovrebbe arrivare il Cavour, se cosi fosse potrei finalmente riabbracciare le sorelle imbarcate, non ho loro notizie ma spero di avere la possibilità di poterle accogliere. Non che qui ci siano grossi problemi anzi, la grande comunità mondiale di Croce Rossa che si è sistemata al nostro campo è uno stupendo Mix di culture diverse e motivazioni uguali, difficilmente nella vita mi succederà ancora di fare parte di un così grande gruppo di persone speciali che mettono tutto da parte per aiutare gli altri. Tutti qui hanno lasciato a casa lavoro e affetti importanti, alcuni a casa capiscono le nostre motivazioni, altri no ma il tempo sarà giudice delle nostre scelte Piano piano ognuno di noi cede un po’: c’è chi ha bisogno di stare solo e si chiude nel magazzino, chi ha febbre e dolori che risolvo con vitamine e due chiacchiere all’ombra, da tenere sotto controllo sono quelli che non si lamentano mai, è difficile capire quello che li succede e giro a dare pacche sulle spalle con scuse a caso per vedere un po’ come va. Le missioni all’estero come queste sono così, toste. La cucina, che è di nostra responsabilità è ormai super operativa e riusciamo addirittura a fare più pasti di quelli richiesti, questo ci permette di dare da mangiare anche al personale locale che lavora con noi al mantenimento delle tende e della sicurezza. Le ragazze locali che sono state assunte per aiutare in cucina sono meravigliose, c’è chi ha perso i genitori nel terremoto, chi è malata di cuore e per la quale cerchiamo medicine. Il primo giorno erano timide e cupe, non parlavano nemmeno tra loro… oggi cantavano “O’ sole mio” pelando patate. Diamo da mangiare a tutti e poi stremati ci sediamo intorno ad un tavolo e mangiamo anche noi facendo due chiacchiere e tirando le somme della giornata, questo è il momento più bello per noi. La tensione si allenta. Ieri notte ho avuto paura per la prima e forse ultima volta, mentre cenavamo tutti insieme intorno al nostro tavolo hanno cominciato a sparare a 20 metri dal campo. Gli uomini della nostra squadra hanno capito subito che non erano petardi, io ci ho messo un po’ di più. Poi hanno individuato che tipo di arma fosse. Io onestamente mi sono piazzata tra i due più robusti a testa bassa e li sono rimasta. Mai nella mia vita avevo sentito sparare per uccidere e per di più cosi vicino. Dico sparare per uccidere perche ci sono buone possibilità che di questo si tratti; il business della sicurezza privata è enorme e i vari quartieri hanno guardie armate a difesa di magazzini pieni e case private. La procedura con i cosiddetti “sciacalli” è questa : prenderli, legargli le mani, sparargli in testa e lasciare i cadaveri per strada a monito per chi volesse fare altrettanto. E’ una terra senza pace.  (4 febbraio 2010) Oggi sono arrivati i container che erano sul Cavour, quattro dei nostri uomini sono stati elitrasportati due giorni fa sulla portaerei ormeggiata al largo e hanno cosi potuto recuperare il materiale della Croce Rossa Italiana che vi era ospitato sopra. Appena attraccato, hanno scaricato e sono tornati via terra dopo quasi 24h di viaggio, accolti da noi come se non li vedessimo da un mese. Chissà come sarà al ritorno in Italia, quando non li vedrò più tutti i giorni. Comunque ora il gruppo è ricomposto e abbiamo tanto da fare per sistemare tutto: è arrivato il tanto atteso potabilizzatore con insacchettatrice che ci permetterà di garantire alla popolazione 3600 litri di acqua potabile ogni ora e sono anche arrivati i condizionatori, le celle frigo e un container di servizi igienici. Ho quindi finalmente notizie di prima mano delle otto crocerossine imbarcate: a quanto pare il morale è alto anche lì e si stanno preparando a entrare in piena operatività. Mi piace saperle vicine! Qui al campo le giornate scorrono veloci e faticose, siamo abituati ormai ai decolli e ai voli radenti di aerei ed enormi elicotteri a tutte le ore, ma al caldo torrido proprio non riusciamo ad abituarci. Una settimana fa mi sono fatta tagliare i capelli alla meglio con un paio di forbici da elettricista, il nostro ‘chimico’ si è offerto per il lavoro e devo dire che il risultato, che nell’immediatezza era disastroso, ora inizia a prendere una forma accettabile. Comunque meglio cosi perché con questa polvere e questo caldo proprio non potevo più andare avanti con i capelli lunghi e poca acqua. La cucina, nostro punto di forza, ha ottenuto le tanto agognate zanzariere per le 4 enormi finestre che si affacciano sul campo attendato, è una piccola miglioria, ma tutto quello che facciamo per ottimizzare le strutture ci porta un grande entusiasmo. Quando non hai nulla, tutto diventa importantissimo. Le uscite dal campo sono una grande prova per il nostro morale, fuori la gente si accalca ai cancelli nella speranza di un lavoro, per strada ancora morti a più di venti giorni dal sisma, bambini nudi nelle tendopoli girano tra spazzatura e fogne improvvisate. Il lavoro, da queste parti, va avanti senza sosta.  (8 febbraio 2010) Giro di boa per il primo turno qui al campo Italia. Dall’italia ci chiedono se sentiamo le scosse di assestamento che vengono registrate tutti i giorni, delle scosse non ci rediamo conto ma ogni volta che usciamo c’è sempre un muro in piu caduto per terra, cosi come case in più che si finiscono di sbirciolare. Il nostro campo è il posto più sicuro dove trovarsi in caso di una nuova scossa ma tutti noi capiamo come queste notizie riportate in Italia facciano preoccupare chi ci vuole bene. Succedeva lo stesso quando ero al PMA (posto medico avanzato) di Collemaggio durante le operazioni per il sisma dell’Aquila, i giornali parlavano delle scosse di assestamento ma noi volontari che vivevamo, lavoravamo e mangiavamo in tende pneumatiche non ci accorgevamo mai di nulla se non di una leggera nausea che solo dopo capivamo essere risultato del movimento del terreno. Negli ultimi giorni mi è capitato spesso di dovere andare alla sede del governo che al momento è stata riallestita dentro a tende sul terreno dell’aeroporto a 500mt dal nostro campo. Occupandomi anche di pratiche burocratiche è li che incontro i referenti del governo che ci aiutano nelle varie procedure del campo. Il governo attendato è un micro cosmo che la mia divisa di croce rossa mi permette miracolosamente di esplorare indisturabata: al cancello la ressa di giornalisti e gente locale viene tenuta a bada da stuoli di guardie armate ma, la macchina che mi accompagna ha i simboli di Croce Rossa su cofano e fiancate e basta un colpo di clacson per fare aprire la folla e i cancelli, un cenno della mano alle guardie e siamo dentro. Una volta dentro faccio presente alla segretaria che sono arrivata e do il nome del funzionario con il quale ho bisogno di parlare, nell’attesa che di solito è sui canonici 30min posso girare dove voglio e nessuno mi ferma mai. Solo negli ultimi tre giorni nell’ordine ho:  – salutato con un sorriso ricambiato l’ex presidente degli Stati Uniti Mr. Clinton che si occupa degli aiuti americani ed era in visita qui ad Haiti per una riunione di cordinamento con i vertici di governo  – Capitata a un braccio di distanza dal gruppo dei 10 volontari arrestati con l’accusa di avere tentato di fare passare il confine con Santo Domingo ad un gruppo di bambini senza documenti, mentre stuoli di giornalisti delle piu svariate e prestigiose testate giornalistiche mondiali si accalcavano dietro un cordone formato da guardie armate fino hai denti  – Ed infine oggi ho stretto la mano al presidente haitiano Mr Preval che trovandomi in cortile ad aspettare mi ha raggiunto salutato e stretto la mano prima di proseguire per la conferenza stampaSono ovviamente frivolezze ma ti fanno capire il potere ed il rispetto che la gente ha per il simbolo che portiamo. Intanto il caldo torrido e la polvere non mollano, la mia tenda ufficio è inutilizzabile dalle 10 alle 17 per via dei 50° che si sviluppano al suo interno, mi trasferisco spesso a lavorare in cucina con un certo sbigottimento dei miei adorati cuochi e delle stupende signorine haitiane che mi lanciano sguardi di simpatica compassione.

  

  

       

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