Blackout challenge tra i nuovi “giochi pericolosi” in rete. Bellocchi: "Lavoriamo su relazioni autentiche"

Blue Whale, Blackout challenge, Fainting game, o ancora, Choking game. Nomi diversi per “pratiche” differenti diffuse sulla rete, tutte accomunate da un solo obiettivo: indurre gli adolescenti a spingersi fino a sfidare la morte. E spesso, purtroppo, a raggiungerla. Notizia degli ultimi giorni è che il Blackout Challenge, una pratica di soffocamento autoindotto, avrebbe (il condizionale è d’obbligo perché le indagini sono ancora in corso) quasi portato alla morte un ragazzo della provincia di Roma e sarebbe alla base del suicidio di un quattordicenne di Milano, Igor Maj, sportivo appassionato di arrampicate.
Di che “sfida” si tratta
La sfida del Blackout (traducibile in “svenimento” o sfinimento estremo) porta i partecipanti a cercare di sfiorare la linea di confine tra la vita e la morte: i giocatori provano appunto a strangolarsi fino a svenire. Girano ormai da tempo su internet diversi video che ne spiegano il funzionamento.Un gioco macabro che può essere praticato da soli o in compagnia, usando corde o le braccia di un amico strette attorno al collo. Lo scopo è quello di provare l’“ebbrezza” di quando si rimane senza ossigeno a 7.000 metri di altitudine, oppure di quando si sta per morire. L’ultimo passo è riuscire a perdere i sensi per poi rinvenire (se si riesce), il tutto davanti ad una webcam che riprende in diretta la prodezza.
Il caso di Igor
Sono stati gli stessi genitori a dichiarare che il loro figlio quattordicenne sarebbe stato vittima di un gioco pericoloso. È passata una settimana dalla morte di quel ragazzo e secondo la sua famiglia, le cause del decesso sono diverse dal suicidio. Lo racconterebbe almeno un video, tra le ultime pagine Internet visitate e rimaste memorizzate nella cronologia di navigazione del giovane rocciatore: uno di quei video che rientra nella categoria “cose pericolose in Rete” e parla proprio del Blackout. La famiglia ha affidato un messaggio a un sito noto fra gli scalatori:
La “risposta” della CRI a questo tipo di fenomeni
Da tempo, quindi, lavoriamo su bullismo e cyberbullismo. Ma questi fenomeni sono diversi: ci spostiamo dalla dinamica ‘uno o tanti contro l’altro’, passando alla modalità dell’ ‘uno contro se stesso’. Il bisogno di essere accettato dalla massa (dalla sua ‘rete’, in questo caso) rappresenta oggi infatti una necessità primaria rispetto al proprio benessere psico-fisico. In linea con la nostra Strategia, affrontiamo tutto questo partendo dall’ascolto, passando poi all’azione. Lo facciamo non solo negli ambienti educativi, come nelle scuole, nelle quali entriamo grazie al protocollo siglato con il MIUR, ma anche all’interno dei nostri stessi Comitati, partendo in primis da noi Giovani volontari. Cerchiamo di essere esempi positivi, perché la vita non è il numero di ‘like’ ricevuto, ma quello che uno è e fa concretamente, accentando e valorizzando le diversità proprie e degli altri. Solo partendo dalle passioni e dai sogni e mostrando l’intensità e la bellezza che è dentro ognuno di noi, non avremo più bisogno dell’ ‘estremo’ per sentirci vivi.
Gabriele Bellocchi, Vicepresidente Croce Rossa Italiana e Rappresentante Giovani