Grecia, nel Relocation Camp di Diavatà anche un medico di Croce Rossa Italiana
Di Alessandra Filograno“Save Aleppo”. E’ scritto un po’ ovunque nel campo di Diavatà in Grecia. Su un muro, sulla tenda dove si distribuiscono i viveri. Ci sono circa 2000 persone, uomini, donne bambini. La maggior parte sono siriani, altri provengono da Afghanistan, Iraq, Iran. Marzio Napolitano, giovane medico specializzando che vive a Roma, è stato inviato in questo Relocation Camp per 12 giorni da Croce Rossa Italiana per supportare la Croce Rossa Ellenica. In precedenza con un’altra organizzazione era stato in Cameroon per un tirocinio medico chiururgico. “I profughi cercano la Croce Rossa nel campo” ci dice. “Diavatà è una sorta di limbo per molte persone che fuggono da zone di guerra e di violenza. Non ho trovato una situazione di emergenza sanitaria. Le cure principalmente sono per febbre, tosse, ferite da armi da fuoco. Ci sono stati alcuni casi di epatite A per cui abbiamo chiesto l’intervento del Dipartimento di Salute Pubblica Greca. Alcuni bambini hanno la varicella. Certo, le ferite da armi di guerra sono quelle più dolorose. Ho medicato un ragazzo siriano con un proiettile nella schiena, che però vuole farsi operare quando (e se) arriverà in Germania. Un altro aveva un dito della mano lacerato da un proiettile. Un altro aveva varie schegge di metallo nel corpo. La vera emergenza è quella delle ferite psicologiche, aggravate dall’incertezza del futuro e dalla permanenza nel campo, dove non c’è molto da fare”.
“Sono rimasto in contatto – continua Napolitano – con alcuni di loro. Con il giovane siriano, con un giovane musicista fuggito dall’Iraq, perseguitato perché si sente ateo. Mi ha raccontato che ha subito violenze e che gli hanno rotto il violoncello. Un altro, un ragazzo afghano di 17 anni fuggito con la famiglia, parla bene l’inglese, mi ha anche aiutato come interprete. Un gruppo di Talebani voleva assoldarlo come informatore. Si è rifiutato ed è stato minacciato di morte. Da lì la fuga verso l’Europa. Tutti sperano di restare in Europa. Va bene anche in Grecia. Sicuramente non vogliono tornare indietro”.
“Nel campo – conclude il medico – opera la Croce Rossa insieme con altre organizzazioni umanitarie. Vivendo al suo interno ci si rende conto di quanto sia sentito il sogno di libertà e di vita che c’è tra persone che sono fuggite e arrivate in Europa sui barconi. Dal medico si aspettano sempre una medicina. Quasi a voler curare il male che hanno subito”.