Giornata Internazionale del Migrante: viaggio nel centro Fenoglio, esempio di accoglienza e integrazione della Croce Rossa
di Laura Bastianetto Si muovono tra le stanze e la mensa vestiti di tutto punto, con indosso ai piedi nudi solo le ciabatte. “Non ho freddo – dicono i rifugiati politici ospiti – qui è casa”. Qui è Settimo Torinese, nel Centro Polifunzionale della CRI “Teobaldo Fenoglio”. Le temperature rigide si cominciano a far sentire anche se le Alpi sullo sfondo sembrano appena spruzzate di bianco. È martedì mattina e le attività nel campo fervono. Un gruppo di ragazzi sta preparando il pasto per il pranzo. Bengalesi e pakistani si danno il cambio, oggi è il loro turno. Intanto gli africani stanno tornando da scuola, mentre poco più in là alcuni volontari e operatori della Croce Rossa stanno facendo la sanificazione della cucina campale utilizzata il mese scorso nella missione umanitaria della CRI, nel Kurdistan iracheno. “La polifunzionalità è la forza di questo centro – racconta il coordinatore Ignazio Schintu – che non serve solo per accogliere i richiedenti asilo afferenti al circuito SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), ma si tratta di una piccola cittadella dove si susseguono diverse attività”. Infatti ormai il centro, punto d’eccellenza e modello da replicare in Italia, risponde a diverse esigenze grazie ai suoi 40mila mq sui cui poggiano un’infermeria attrezzata, una biblioteca, 8 palazzine colorate a uso abitativo, un campo sportivo polifunzionale, 8 aule didattiche e una cucina predisposta alla preparazione di 2mila pasti all’ora. Dall’accoglienza dei migranti, al servizio di emergenza abitativa per le famiglie sfrattate. Dalla mensa sociale per gli indigenti segnalati dai Servizi Sociali alla preparazione di pasti da asporto. Dai corsi di formazione all’attivazione per emergenze nazionali e internazionali. Il “Teobaldo Fenoglio”, ex villaggio Tav per gli operai impegnati nella costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità, è stato recuperato dal Comune per trasformarlo in un centro di Protezione Civile. Con i primi sbarchi di migranti la cittadella fu individuata dal Governo come uno dei siti prioritari per accogliere e ospitare vulnerabili.
Abdullahi Ahmed, mediatore culturale
Era il 2008 quando arrivarono i somali. Abdullahi Ahmed, 26 anni, ora lavora nella biblioteca di Settimo Torinese. Ricorda quei giorni in cui arrivò in Italia, sbarcando a Lampedusa a bordo delle solite carrette del mare. Il 1 luglio di quell’anno era dentro al centro “Fenoglio”. “Fu incredibile – racconta – festeggiammo in Italia, la nostra festa per la liberazione dai colonizzatori italiani. E quegli stessi ci stavano in quel momento accogliendo”. Abdullahi è il chiaro esempio di come può funzionare l’integrazione. Oggi fa il mediatore culturale e risponde a ‘Informa giovani’ nella biblioteca comunale, grazie alla sua iscrizione al Servizio Civile. “Ho lavorato per 3 anni e avrei avuto la possibilità di godere di una disoccupazione di 800 euro, ma ho preferito aiutare gli altri così come sono stato aiutato io”. Questo suo gesto gli è ‘costato’ la cittadinanza onoraria di Settimo, subito dopo quella a Nelson Mandela. Per la cittadinanza italiana invece dovrà aspettare ancora un po’. “Sono venuto qui che avevo appena 20 anni e non ho mai votato in vita mia. Voglio essere cittadino italiano per esprimere il mio voto”. Oggi Abdullahi non è più nel centro. Paga ogni mese l’affitto in una casa a Torino. È così anche per Siraman, arrivato in Italia nel 2011 dal Mali. Oggi lavora come aiuto-cuoco in un ristorante messicano nel centro del capoluogo piemontese. È l’uomo di fiducia del datore di lavoro. Solo lui ha le chiavi del locale. “Quando arrivò da noi – racconta Francesca Basile, coordinatrice dell’accoglienza al Fenoglio – era molto timido, stava sempre sulle sue. È bello vedere oggi come si sia integrato qui a Torino”. Qualche chilometro più in là invece, in un appartamento a San Benigno Canavese, abitano in 4. Fuori il freddo viene attutito dall’odore della legna che fa capolino dai camini. Dentro casa Alieu sta cucinando un piatto tipico del Gambia, il suo paese d’origine, mentre Lamin della Guinea Bissau, si prepara per l’allenamento di calcio. Sfrutterà tutte le tecniche acquisite sul campo del Centro “Fenoglio” dove ha trascorso diversi mesi alternandosi, nel gioco di squadra, con gli ‘orientali’ che invece solitamente preferiscono giocare a criquet. Intanto in salone si guarda la tv. I cartoni animati in realtà, che aiutano a migliorare la lingua, magari con il supporto del piccolo vocabolario italiano-francese riposto sopra il tavolo. La casa è su due piani a pochi passi dalla Scuola Professionale Salesiana dove i 4 hanno studiato per diventare meccanici.
È qui che si sono formati diversi ragazzi grazie al pacchetto previsto dallo stesso programma SPRAR “che consente – spiega Francesca Basile – di creare una rete di competenze atte ad accompagnare il richiedente asilo all’uscita dal centro “Fenoglio” con un bagaglio ben più ampio di un permesso di soggiorno o di un titolo di viaggio, ovvero con una formazione pronta per essere spesa nel mondo del lavoro, mettendo in luce la valenza e le attitudini del singolo”. Da quella scuola negli ultimi mesi sono usciti cuochi e meccanici che già lavorano grazie alla rete di aziende con cui l’Istituto collabora. “La logica alla base del nostro Centro-aggiunge Ignazio Schintu- permette ai nostri ospiti di beneficiare di un’accoglienza diffusa, finalizzata al ri-acquisto dell’autonomia. Il mio comportamento è pari a quello di un padre di famiglia che rispetta i propri figli e da cui, però, vuole ricevere lo stesso trattamento. In questi anni siamo cresciuti molto anche noi, creando non una fabbrica di disperati e non limitandoci al mero assistenzialismo. Anzi. Noi guidiamo i nostri ospiti verso l’autonomia grazie ai percorsi di formazione anche qui dentro con i corsi di italiano sostenuti da insegnanti in pensione che hanno messo a disposizione le loro competenze. O grazie ai contatti con le scuole, alle attività e al nostro modo di fare che prevede di affrontare il problema non come emergenza, ma mettendo al centro l’essere umano, senza creare ghettizzazioni con un ascolto sempre aperto e un medico a disposizione continua”. Attualmente sono 132 gli ospiti nel centro della CRI, provenienti da diversi paesi. Ognuno è impegnato in qualche cosa. E c’è chi, tra di loro, decide di mettere a disposizione se stesso per gli altri. Come Yaacouba Kone, maliano, oggi volontario della Croce Rossa, impegnato un mese fa nella missione umanitaria nel Kurdistan dove ha incontrato migliaia di sfollati iracheni.