Croce Rossa e MOAS, un ponte di Umanità in mezzo al mare
di Alessia LaiUna telefonata Skype difficile, la linea che cade e innumerevoli tentativi di scambiare due parole. Dopotutto Fabio, Sabra e Cristian sono in mezzo al mare, a bordo della nave Phoenix di MOAS (Migrant Offshore Aid Station), l’organizzazione specializzata nella ricerca e soccorso in mare, nel tratto di mare che migliaia di migranti affrontano per sfuggire a guerre, insicurezza, povertà.Fabio, Sabra e Cristian sono due infermieri e un medico che formano il team sanitario di Croce Rossa Italiana (CRI) a bordo della nave di MOAS.Nonostante la linea “a singhiozzo” il team CRI è riuscito a raccontare un’esperienza unica e a descrivere cosa significa spingersi ancora più in la nell’assistenza alle persone migranti. Perché Croce Rossa è da anni presente ai moli di tutta l’Italia meridionale per supportare gli sbarchi delle persone migranti, ma grazie a questa collaborazione con il MOAS l’intervento sanitario di CRI è arrivato in prima linea, proprio durante le fasi più critiche del salvataggio in mare. “Siamo in prima linea nei soccorsi – racconta Fabio – la vera prima linea”. La caratteristica della Phoenix è che questa nave ha “gli occhi”, a bordo ha infatti i droni per la ricerca delle barche alla deriva. Dopo che i migranti sono individuati la nave si dirige verso di loro e una volta soccorsi rimangono a bordo per le ore necessarie al trasbordo sulle altre navi che li condurranno nei porti italiani. In queste ore il team sanitario della Croce Rossa si occupa di loro.
“La cosa che ci ha maggiormente colpito sono gli sguardi terrorizzati, che chiedono aiuto. È negli sguardi che capisci di cosa hanno bisogno queste persone: a volte basta solo un sorriso, un abbraccio, una carezza”, racconta Fabio, infermiere, un’esperienza in un pronto soccorso romano. Fabio racconta di gesti umani che vanno al di là del supporto sanitario, di un’apertura che fa sentire i migranti accolti, specie le donne sole che partono coi loro bimbi, tante, sempre di più. Come sono tanti i tanti nuclei familiari, con bambini molto piccoli, che affrontano l’incognita del viaggio. La prima cosa che chiedono i migranti quando salgono a bordo è mangiare e bere. E poi coprirsi con abiti asciutti. Hanno freddo, perché hanno passato molte ore in mare dopo essere partiti la notte, al buio. Le patologie sono quelle che si riscontrano ai moli – ipotermia, astenia, disidratazione e le conseguenze della prigionia spesso vissuta in Libia – ma l’intervento è chiaramente più tempestivo. “Non parlano molto”, dice Fabio, “alcuni sono anche molto restii e non si aprono a raccontare il loro vissuto. La sera distribuiamo il cibo e le coperte e subito dopo si addormentano: il viaggio che fanno è lungo e stressante e hanno bisogno di riposarsi”. “È un’esperienza che ci ha toccato tanto emotivamente”, racconta Sabra, infermiera del 118 a Roma “Gli abbracci, i bambini, le persone che quando sbarcano ti salutano e ti ringraziano. Sono loro a augurare a noi buona fortuna”.
Questo team CRI rientrerà a Malta l’11 luglio, ma la missione di nave Phoenix di MOAS prosegue. “E’ un’esperienza che vorremmo ripetere”, dice ancora Fabio, “stai in mare aperto, è tutto diverso dalla realtà quotidiana. E questo ti insegna tante cose. Spesso quando sei in città senti parlar male dei migranti, ma quando vedi dal vivo questa realtà riesci a percepire i sentimenti di queste persone, le loro ragioni. Quando vedi i bambini pensi che quel gommone si sarebbe potuto rovesciare, che sarebbero potuti morire in mezzo al mare. Qui mettiamo in pratica i principi di Croce Rossa”.Un’esperienza in prima linea, insomma, in cui la collaborazione è alla base della riuscita di un’operazione così delicata. “I ragazzi di MOAS sono fantastici e professionali – dicono Fabio e Sabra – e vorremmo ringraziare tutto l’equipaggio e in particolare la persona che coordina la movimentazione dei droni che tutte le mattine si alzano in volo per andare a cercare persone da salvare”. Gli “occhi” di nave Phoenix sono fondamentali in questa missione: vanno a cercare quei gommoni mezzi sgonfi, quei pescherecci malsicuri e strapieni di vite, li trovano e danno la rotta per andare a soccorrerli. In mezzo al mare c’è un ponte fatto di occhi – umani e tecnologici – di mani tese ad aiutare, di competenze che servono a curare. E la CRI è, ancora una volta, lì dove serve: non solo quando le persone migranti toccano finalmente la terraferma, ma ora anche in mare, per portare aiuto ancora prima, per supportare i vulnerabili prima possibile, rendendo più sicuro l’ultimo tratto del viaggio che li porterà verso una nuova vita.