Diplomazia umanitaria e attenzione ai bisogni per proteggere i migranti
Intervento del Delegato Tecnico Nazionale Area Pace Paolo di Toma
Solitudine e disperazione, coraggio e speranza, paura e integrazione: sono alcune delle parole che i partecipanti hanno associato alla parola “migrante” nell’ambito del workshop “Migration”, coordinato dal delegato tecnico nazionale per l’Area Pace Paolo di Toma. E’ necessario analizzare i bisogni della persona migrante a livello territoriale e promuovere la sensibilizzazione della popolazione per poi poter meglio potenziare la capacità di accoglienza e inclusione. Prendendo spunto dai 10 punti della “Policy on Migration” del maggio 2009, il gruppo ha condiviso la necessità di seguire a 360° il percorso della persona migrante, di concentrarsi sulla sua vulnerabilità e sull’unione indissolubile tra assistenza, protezione e diplomazia umanitaria. Il gruppo ha condiviso l’esigenza di sviluppare la cosiddetta “diplomazia umanitaria” creando un ponte di comunicazione tra le esigenze di aiuto concreto al popolo migrante da parte dei Giovani di CRI e delle istituzioni. A tutto ciò deve seguire necessariamente una sensibilizzazione dell’opinione pubblica sull’integrazione a partire dalle giovani generazioni (opera relativamente più semplice) fino ad arrivare all’età adulta.E’ emerso un progetto interessante, testato per ora solo su piccole realtà cittadine, che ha mirato ad unire diverse nazionalità e culture attraverso canali continuativi e orizzontali in materia di interessi comuni, ad esempio le abitudini culinarie. È risultato inoltre fondamentale sviscerare il rapporto tra immigrazione e xenofobia: frasi di uso purtroppo comune quali “non si vogliono integrare” o simili non sono più ammissibili perché la problematica dell’integrazione non è unilaterale anzi, dipende in gran parte dal feedback che la persona, in situazione di estrema vulnerabilità, riceve dal paese ospitante. I migranti sono una risorsa, anche solo a partire dall’arricchimento culturale che se solo volessimo potrebbe essere reciproco. Anziché chiudersi, quindi, in un guscio di diffidenza e paura è giusto renderli partecipi della nostra realtà, compresa quella di volontari, altresì al fine di evitare fraintendimenti che ostacolerebbero la comunicazione, alla base dello scambievole rapporto volontario-utente.
Giada VercesiFoto di Massimiliano Bottini