IFRC

Lampedusa, un anno dopo. Il ricordo delle 368 vittime del naufragio, fra commozione e dignità. Rocca: “Non è più un’emergenza. Serve subito una risposta strutturata”.

Di Laura Bastianetto, Lampedusa – Amina (il nome è di fantasia) sta a cavalcioni, sulla motovedetta della Capitaneria di Porto. Il suo è un canto disperato che comincia fin dalla partenza dalla Stazione marittima fino a quel punto di mare dove un anno fa perse suo figlio. Mohammed (altro nome di fantasia) tiene un fazzoletto bianco in una mano. Le sue lacrime scorrono in silenzio. E’ dignitoso il suo pianto così come lo è il dolore di tutti i suoi compagni a bordo. Li chiamano i sopravvissuti. In macchina verso la stazione marittima mi raccontano delle loro nuove vite. Chi sta in Norvegia, chi in Svezia. Vanno a scuola e imparano la lingua. In Italia ci sarebbero rimasti, ma la prospettiva di un giaciglio di fortuna in una stazione qualsiasi non li ha invogliati. Come dar loro torto. Altri li chiamano eroi, ma loro rifiutano questa definizione. “Siamo solo esseri umani”. Appunto, esseri umani che non chiedono nulla se non una seconda possibilità.