Il messaggio del Presidente CRI Rosario Valastro nell'anniversario del naufragio a largo delle coste di Steccato di Cutro
C’è un modo per celebrare un anno passato dalla tragedia che ha colpito Cutro. Voltarsi dall’altra parte o essere pienamente consapevoli di quello che accade nel mondo. Ci sono persone, quelle che chiamiamo migranti, ma che sono persone, che hanno tentato di sbarcare su una terra non loro, l’Italia, quella terra che fa parte di un’Europa che vuole essere una porta di approdo ma che fa fatica a trovare la forma per difendere i diritti di chi subisce i danni causati da guerre, carestie, fame, mancanza di libertà. Il mondo non è un bel posto dove vivere, manca di quei principi di umanità che sono stati travolti dall’assenza di politiche vere a favore di un ordine mondiale che non soffocasse chi per primo ha diritto ad esistere. Gli uomini, le donne, i bambini, quelli che vengono travolti e che usano il mare, l’unico elemento a loro disposizione per trovare forme di salvezza. Chi come noi sa essere capace di portare aiuto e soccorso, chi come noi è capace di essere presente nei porti e sulla terra che significa salvezza, costruisce le basi per un diverso modo di guardare al mondo. Sa essere parte di quella civiltà che ha bisogno di altro rispetto alla contrapposizione che governa il bisogno di un nuovo ordine mondiale. I gesti, gli abbracci, la forza dell’essere donne e uomini che sanno cosa sia la sofferenza umana perché la vivono da vicino, sono la porta di un’altra Europa, di un’Italia che ha bisogno di noi, di un mare che non deve essere di morte, ma di vita. Perché ci sia, sempre, la speranza di costruire pace attraverso l’azione e non attraverso gli inutili, spesso, proclami sulla difesa dei diritti umani. I diritti umani sono il sale, la terra, di un ordine mondiale che non deve preoccuparsene, li deve far vivere.