Iraq, la missione umanitaria della Croce Rossa Italiana. L'incontro con i profughi
Incontro con i profughi durante la distribuzione di cibo
“Siamo dovuti scappare quando abbiamo capito che avrebbero tagliato le teste anche ai nostri bambini”. Parole forti e agghiaccianti, quelle proferite dalle migliaia di donne accampate nelle scuole di Sumel, nel Kurdistan iracheno dove da ieri un team specializzato di Croce Rossa Italiana sta fornendo il pasto giornaliero. Il Governo locale ha infatti messo a disposizione scuole e campi per i tanti profughi fuggiti dalle proprie case. Ma ci sono anche i palazzi in costruzione, occupati ora da migliaia di sfollati. “La maggior parte di loro viene da Sinjar, nel nord dell’Iraq, dove si sono concentrati gli attacchi ad agosto scorso. Ora in questo distretto sono ospitate circa 160mila persone”. Lo spiega Ignazio Schintu, team leader della missione umanitaria, messa in piedi dalla Croce Rossa Italiana per garantire fino a diecimila pasti al giorno. Racconta le ore appena trascorse da quando l’operazione della Cri è entrata nel vivo dopo diversi giorni di viaggio con l’autocolonna tra la Turchia e l’Iraq e l’organizzazione delle cucine. “Che producono anche pasta. Qui ce l’hanno chiesta più persone al posto del riso, e due volte a settimana daremo anche la carne”.
Preparazione del cibo
Ieri il team, aiutato dalla Mezzaluna Rossa Irachena, si è recato nelle scuole e nel campo di Khanke. “Più della metà degli sfollati sono bambini, anche molto piccoli, forse un po’ inconsapevoli di ciò che sta succedendo. L’altra metà è composta da donne e adulti che mostrano una dignità in ogni loro gesto da lasciare spiazzati. Non ci chiedono nulla se non quando sono incalzati da noi che abbiamo bisogno di capire quali sono le necessità. Il paradosso è che nonostante abbiano perso tutto, ora si sentono protetti perché al sicuro lì è la loro stessa vita e quella dei loro figli. Non vogliono andar via. Non vogliono scappare ancora dal proprio paese. Anche perché ci hanno detto: per andare dove, in Europa?”. Ora si teme l’inverno alle porte. I profughi accampati a Sumel sono fuggiti senza niente e non hanno coperte, né vestiti con cui ripararsi.