Naufragi, l’odore della morte non si sente in tv
@Alessia Lai
Migliaia di persone hanno perso la vita, ma la colpa non è del Mar Mediterraneo
di Alessia LaiIl dato crudo degli arrivi dei migranti lo si ottiene con una calcolatrice: tanti a Pozzallo, tanti a Augusta o Brindisi, tanti a Reggio Calabria. Sappiamo quante persone sbarcano nei porti italiani, sappiamo da dove partono, ma sappiamo anche che in tanti non arrivano. Lo abbiamo visto nelle immagini del barcone che si inclina e poi va a fondo con il suo carico di persone. E sappiamo che tante altre volte non c’era una telecamera a riprendere il naufragio, come pure immaginiamo che tante barche potrebbero essere andate a fondo senza nessun testimone. Non sono dispersi, quelli, perché non sono mai esistititi nelle nostre statistiche.Di chi arriva, scampato alla morte nelle traversate di sabbia e mare, a volte sentiamo le storie. Ma di chi non ce la fa non sapremo mai niente, se non i racconti di chi gli è sopravvissuto, quando esiste. Possiamo solo raccontare, ancora una volta, degli occhi spauriti, della pelle ricoperta di sale di chi scende dalle scalette delle navi. Ma come far capire a chi dal divano di casa guarda le notizie scorrere in tv cosa suscita l’odore della morte, su un molo, mentre si assiste allo sbarco dei corpi chiusi nei sacchi neri dopo aver aiutato i vivi a toccare terra? Il ponte di prua di Nave Vega, approdata domenica a Reggio Calabria, era una camera mortuaria a cielo aperto, per raccogliere i cadaveri di uomini, donne e bambini recuperati pietosamente dai soccorritori di uno dei naufragi registrati negli ultimi giorni nel Canale di Sicilia. Croce Rossa era li, con i suoi volontari, operatori e con il Corpo Militare CRI che ha dovuto mettere a disposizione un tir refrigerato per trasportare 45 corpi. Si assiste alle operazioni con un nodo alla gola: il necroforo che sale a bordo e si fa il segno della croce prima di iniziare a raccogliere quel che il mare ha restituito, la gru dei Vigili del Fuoco che sposta le salme una alla volta, i migranti rimasti sul molo in attesa della loro destinazione che guardano di traverso, come a non voler vedere quello che il destino ha riservato ad altri. Questo articolo era pronto qualche giorno fa, prima dello sbarco di Reggio Calabria, e doveva raccontare alcune storie di migrazione. Perché ogni persona che scende dalla scaletta è un carico di vita, esperienze, dolori, gioie, aspettative, e farle conoscere può servire a capire un fenomeno che negli ultimi tempi scatena paure e intolleranza. Una giovane donna nigeriana fuggita, sola, con tre figli piccoli dopo che suo marito è stato ucciso da miliziani di Boko Haram. Il volto sfigurato di un uomo ghanese detenuto per due anni in Libia che ha perso la vista ad un occhio per le percosse.
@Alessia Lai
Ma oggi sono le assenze a pesare sempre di più nel raccontare questo flusso di esseri umani in movimento. È chi non arriva sul molo a pesare sulle nostre coscienze di esseri umani. La migrazione è una famiglia siriana che fugge dalla guerra, si imbarca in un giorno di fine maggio e naufraga: erano in cinque, sono arrivati a Porto Empedocle in quattro. La migrazione è negli occhi di quei due genitori senza nemmeno più lacrime che svengono per non sentire il dolore, è negli sguardi impietriti dei due fratelli rimasti. La migrazione è il gruppo di diciannove ragazzi sudanesi partiti insieme e dimezzati dal naufragio. È nello sguardo perso del marito di una donna mai arrivata a Reggio Calabria, è nel silenzio di tutti coloro che hanno perso un affetto e non hanno nemmeno un corpo da seppellire. La migrazione sono i volontari di Croce Rossa che aspettano, sul molo di Augusta, il carro funebre con una piccola bara bianca per un bimbo che in un ospedale del nostro “mondo civile” avrebbe avuto una possibilità di sopravvivere a un parto prematuro. È in tutto questo che si materializzano i significati odierni della migrazione: affrontare l’ignoto e considerare accettabile l’ipotesi di non arrivare pur di lasciarsi indietro dolori e paure.Il nostro bellissimo mare Mediterraneo dovrebbe essere ponte e invece inghiotte vite, ma non ne ha colpa. Le colpe sono altrove, sono quelle degli uomini che permettono tutto questo, sono di chi delega, di volta lo sguardo e tace. Dovrebbero venire tutti qui, sui moli del sud Italia, a ascoltare il silenzio di chi aspetta una nave con le salme a bordo, a sentire l’odore dei cadaveri di uomini, donne, bambini che non vedranno un futuro diverso, a sopportare il peso di non avere le parole giuste per spiegare tutto questo a chi sopravvive.