Anniversario prima Conferenza Internazionale di Ginevra. Rocca: “Questi sono tempi in cui noi umanitari dobbiamo mobilitarci come fece allora Dunant”
Oggi celebriamo una data molto importante per il mondo della Croce Rossa e dell’umanitarismo in generale: il 26 ottobre 1863 prende il via la Prima Conferenza Internazionale di Ginevra. Non un anniversario per gli “addetti ai lavori” ma una data-simbolo che, ora più che mai, ha senso comprendere a fondo. E’ proprio in questo contesto, infatti, che affonda le sue radici l’umanitarismo moderno.
Nel 1863 Jean Henry Dunant, insieme ad altri quattro cittadini svizzeri (il giurista Gustave Moynier, il generale Guillaume-Henri Dufour e i medici Louis Appia e Theodore Maunoir), crea il Comitato ginevrino di soccorso dei militari feriti, comunemente chiamato Comitato dei cinque. Il motivo che lo spinge a fondarlo è la terribile carneficina e la disorganizzazione con cui vengono portati i soccorsi durante le battaglie di Solferino e San Martino. Il Comitato dei cinque promuove le idee di Henry Dunant e il 26 ottobre 1863 organizza, a Ginevra, una Conferenza Internazionale con l’adesione di 14 Paesi (il quinto dei quali era l’Italia) che firmano tre giorni dopo la Prima Carta Fondamentale contenente dieci risoluzioni che definiscono le funzioni ed i mezzi dei Comitati di soccorso. Nasce così il Movimento Internazionale della Croce Rossa, organizzazione insignita del Premio Nobel per la pace in tre diverse occasioni: nel 1917, nel 1944 e nel 1963.
La rivoluzione culturale era iniziata soltanto pochi anni prima: il 23 giugno 1859 Dunant arriva a Solferino e non sa che quel luogo è destinato a cambiare la sua vita. Lui è un imprenditore svizzero impegnato in un progetto per cui ha bisogno di fondi e concessioni che decide di chiedere direttamente a Napoleone III. Il sovrano si trova a Solferino, nel pieno della seconda guerra di indipendenza, quella che vede scontrarsi i franco-piemontesi e gli austriaci. La mattina del 24 giugno Dunant si ritrova casualmente, cercando l’imperatore, sul fronte della battaglia e solo in quel momento si rende conto dell’enormità dello scontro: 40.000 feriti e oltre 9.000 morti. L’uomo viene annientato dall’orrore e il suo destino cambia per sempre. Si rimbocca le maniche e organizza i soccorsi per entrambi gli schieramenti, fermamente convinto che davanti alla sofferenza gli uomini siano tutti uguali. I ricordi di quel giorno prendono forma in un libro: Un souvenir de Solferino, stampato a spese dell’autore e distribuito a sovrani, politici e intellettuali di tutta Europa. Sono pagine terribili, colme di sangue e dolore, che non risparmiano i particolari più macabri. Il suo libro suscita commozione e scandalo e porta in tanti a mobilitarsi.
La stessa mobilitazione che dobbiamo mettere in atto oggi, in un contesto globale minacciato da tantissime sfide: pandemia, conflitti, cambiamento climatico, povertà e discriminazione crescente. Non sono tempi per l’indugio, ma per mostrare con i fatti il nostro impegno e la nostra scelta profonda. In questo la storia ci fa da guida. Dobbiamo sovvertire la massima rispetto alla quale “il fatto che gli uomini non imparino molto dalle lezioni della storia è l’insegnamento più importante che la storia può offrire”.