Terremoto, la testimonianza di un volontario CRI di Roma intervenuto ad Amatrice

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Luigi Cirulli, volontario della Croce Rossa Italiana del Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale – Roma 6, ha ripercorso in una lettera le prime drammatiche ore dell’intervento compiuto ad Amatrice dopo la scossa del 24 agosto. Pubblichiamo la sua toccante testimonianza. 

 
 

 
Apro gli occhi. La sveglia non è ancora suonata. Le 3:36. Mi sembrava tremasse il letto. Forse un brutto sogno. Mi giro dall’altra parte.Non faccio in tempo a prender sonno che il telefono inizia a squillare.Accendo la TV.Si fanno le 4. I programmi sono interrotti, passa solo il telegiornale straordinario: terremoto nel centro Italia.Non era un sogno. Il letto tremava davvero.Mi vesto con il telefono all’orecchio. Tutto si accelera.Inizio a chiamare i Volontari del mio Comitato.Hanno tutti il telefono acceso. Al secondo squillo rispondono. Tutti: “Si!” , “Sono pronto”, “Dove e a che ora”, “Il tempo di vestirmi”.Alla domanda “Quanto staremo fuori?”, io rispondo: .I numeri scorrono sul display: una telefonata, una seconda, una terza, una quarta…E’ presto, ma rispondono tutti. Tutti pronti con lo zaino in spalla in attesa di un segnale.Seconda scossa.Arrivo in Comitato.Mi assicuro che tutti i mezzi abbiano rifornimento.Coordino le squadre da qui, mi confronto con gli altri coordinatori.Si istituisce la sala operativa locale, si lavorerà anche da quì. Passo le consegne.Parto anch’io. Modulo ABZ pronto. Siamo in 3.Il viaggio non è facile: i telefoni suonano senza pausa, la batteria è già al 20% ; il cielo è ancora buio; non conosciamo lo scenario; arrivano poche e non belle informazioni.Durante il tragitto: solo il silenzio dei pensieri, delle preoccupazioni, delle speranze.In strada ci affiancano i mezzi dei colleghi: croce rossa, vigili del fuoco, protezione civile, carabinieri ecc.Arriviamo che il sole ha appena sfiorato la terra . Vediamo un panorama decisamente diverso da quello aspettato. Le case sono ammassi di calce.Le strade non sono rettilinee, forse non sono neanche più strade. Si fa fatica a raggiungere Amatrice. Siamo alle porte, ma non esiste un percorso agibile. Siamo obbligati ad altri 26 Km: vediamo la meta, ma non una via.Amatrice è una grande cava in pietra esplosa.Scendiamo dal mezzo, zaino in spalla, casco sulla testa, guanti in mano.Ci organizziamo: ascoltiamo i primi arrivati sul posto. Ci dividiamo. Amatrice diventa una griglia, una scacchiera da riempire, e le pedine sono tutti i soccorritori.Mi volto e vedo tante divise, tutte diverse, tanti colori ed emblemi . Tutti lì per un unico scopo, un unico aiuto.Alcuni di noi soccorrono i feriti in strada, altri quelli sotto le macerie, altri ancora accolgono le prime vittime. Ci arrampichiamo su montagne di macerie e raggiungiamo i balconi. Le ambulanze si bloccano all’inizio della strada. L’aria si riempie delle direttive dei coordinatori, di richieste di aiuto, di pianti di bambini, dei sommessi singhiozzi degli adulti.Il tempo scorre così, tra feriti e scosse.Arrivano i rinforzi: 4 elicotteri volano sulle nostre teste. Nuove squadre prendono il nostro posto.La forza di volontà tiene in piedi noi Volontari…o forse è l’adrenalina. Si va avanti per ore. Benché qui il tempo si sia fermato alle 3:36.E un pensiero va all’Aquila: il campanile fermo alle 3:33.Come uno schiaffo in pieno volto.E mentre rientriamo al Centro Operativo di Comando vediamo di tutto.Un’anziana siede difronte al parco, ha una fasciatura alla testa. Una sola scarpa ai piedi.Accanto a lei un uomo con la testa tra le gambe. Si copre il volto.Una mamma stringe tra le braccia una bambina: entrambe hanno lunghi capelli biondi.Un ragazzo strappa una maglietta, si fascia la caviglia, un infermiere lo vede:, chiede., risponde.Continuiamo la nostra strada. Sotto un albero rubiamo di passaggio la testimonianza di un padre:.Più in là un volontario croce rossa sbatte i piedi a terra, una nuvola di polvere lo circonda: la divisa ha perso il suo colore originale, ormai grigio.Poco più su vediamo scendere una squadra di vigili del fuoco : occhiali, mascherina, guanti, si infilano il casco e ci superano in corsa.Siamo quasi arrivati.Sotto le scale antincendio due volontari della protezione civile, impolverati, divisa bianca, sguardo vuoto, bevono un sorso d’acqua, una volontaria croce rossa offre loro un sorriso e un pacchetto di crakers.Un gruppo di giovani si stringe in gruppo, un abbraccio infinito. Chi è corso via in pigiama, chi non era ancora rientrato in jeans, chi si è infilato di corsa una tuta, chi ha raccolto i capelli in una coda, chi ha fatto solo in tempo a prendere gli occhiali, chi ha in mano le chiavi di casa. Hanno tutti i volti rivolti verso il centro, sguardo basso. Si abbracciano e mormorano parole di supporto a chi non ne ha più.Un grido di dolore interrompe i nostri pensieri. Non riusciamo a vedere da dove provenga. Ma era lì. Il grido di una donna, forse una madre, una moglie. Forse Amatrice stessa.Luigi CirulliVolontario Roma 6

  

             

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