Migliaia i siriani giunti in Italia dall'inizio dell'anno. Tra loro c'è chi è rimasto coinvolto nell'ultimo naufragio. Il racconto da Lampedusa

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Secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Interno, sono 9805 i siriani sbarcati nel nostro Paese dal 1° gennaio al 14 ottobre 2013. Famiglie intere costrette ad abbandonare la Siria e tutto quello che hanno, a vendere i propri beni, quando questi stessi vengono risparmiati da attacchi indiscriminati da parte delle forze combattenti sul campo. Persecuzioni e violenza sono all’ordine del giorno e chi ha qualche soldo in più, riesce a scappare e raggiungere l’Europa attraverso l’ingresso in mare dall’Italia. Per cercare di salvarsi la vita, per cercare un posto sicuro, lontano dal tuono delle bombe e dal tiro dei cecchini. E così hanno fatto anche i migranti che erano sull’imbarcazione naufragata venerdì 11 ottobre, nelle acque tra Malta e Lampedusa. Si sono salvati in 209 e del numero dei dispersi ancora non si ha una stima precisa, forse 200. Un’altra tragedia che colpisce le vite di persone già provate da un destino segnato dalla guerra. In soccorso sono intervenute le autorità italiane che insieme a quelle maltesi, hanno tratto in salvo quanti erano in acqua. Grida e richieste di aiuto, soccorritori straziati che hanno vissuto nuovamente l’inferno già affrontato nel naufragio del 3 ottobre. Ancora vittime e corpi senza vita. I superstiti accolti a Malta sono stati 150, mentre 50 sono stati trasportati a Porto Empedocle, in Sicilia, 9 coloro che hanno trovato spazio nel CSPA di Lampedusa. Nelle operazioni di salvataggio alcuni di loro sono stati separati dai propri parenti. Così come è accaduto a due ragazzi siriani che sono a Lampedusa e che grazie al supporto degli operatori CRI Praesidium e dell’unità di Restoring Family Links presente sull’isola, dopo cinque giorni, sono riusciti ad entrare nuovamente in contatto con chi di loro è stato trasferito a Malta.”E’ stata un’emozione grandissima vedere quegli occhi che si sono illuminati non appena dall’altra parte del telefono hanno risposto”, sono le parole di Ilwana, volontaria dell’Ufficio Ricerche della CRI per le attività di Restoring Family Link che è stata il tramite per ristabilire il contatto familiare. Racconta di questo ragazzo che si è imbarcato immaginando un viaggio diverso e che si è concluso in modo drammatico. “Un ragazzo che si adopera per i propri compagni di strada perché parla l’inglese e cerca di aiutare chi ha difficoltà di comunicazione. Sostiene gli altri in modo responsabile e aggiunge al peso del suo dramma anche quello degli altri”. Un dolore che continua ad alimentare il bruciore di una ferita aperta e che forse neanche il tempo riuscirà a rimarginare. Non si aprono molto nei loro racconti, hanno voglia di andare avanti e ricominciare, di trovare la serenità, di ricongiungersi il prima possibile con i propri cari. E nel rispetto del loro silenzio, gli operatori CRI presenti sul posto, cercano di fare il possibile per alleviare le loro sofferenze. “L’emozione di essere qui è fortissima – continua Ilwana – un qualcosa di impagabile che porterò sempre con me. Sono persone con una forza e una riconoscenza incredibile. A volte basta loro solo un sorriso e una parola di conforto. Gesti semplici, per cercare di ritrovare un minimo di fiducia nel prossimo. Quella stessa che è stata tradita con la violenza”. 

  

  

          

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