Mano nella mano verso un posto sicuro. Un papà siriano e i suoi bimbi in fuga dalla guerra hanno proseguito il loro viaggio insieme grazie al team RFL di Catania
di Alessia Lai“Baba”: un suono universale nella lingua univoca dei bambini di tutto il mondo. “Baba” è la prima parola che, ai primi di settembre, volontari e operatori della Croce Rossa hanno sentito pronunciare da due bambini si-riani arrivati al porto di Catania dopo essere stati tratti in salvo da una nave del dispositivo Triton. Uno sbarco complicato quello di quel giorno: almeno 400 migranti alla de-riva vengono soccorsi da tre navi e, durante le operazioni di recupero, le persone vengono divise sulle tre imbarcazioni, tutte dirette verso il porto catanese. Ma se le prime due navi attraccano contemporaneamente, la terza tarda ad arrivare. Gli sbarcati sono quasi esclusivamente uomini. Il supporto dei mediatori culturali diventa fondamentale per mettere in azione gli operatori RFL (Restoring Family Links) di Croce Rossa: molti degli uomini sbarcati sono padri e mariti i cui figli e mogli sono ancora in na-vigazione. Gli autobus sono pronti a partire per altre città e Regioni italiane dove verranno portati i primi gruppi di migranti sbarcati a Catania. Non c’è molto tempo da perdere se si vogliono evitare separazioni dolorose. Il team RFL di Croce Rossa si attiva presso i rappresentanti della Questura: la segnalazione funziona e il gruppo di uomini può attendere al molo i fami-liari in arrivo. Se fossero partiti, riunirsi con le loro famiglie sarebbe stato molto complicato. Magari sarebbero stati destinati a diversi centri di ac-coglienza e a quel punto per riabbracciare i loro cari avrebbero dovuto af-frontare una burocrazia che richiede tempi incompatibili con l’angoscia di una famiglia separata, arrivata in un posto nuovo del quale non conosce lingua, leggi, regole. Tra quei padri e mariti in attesa, uno in particolare attira l’attenzione di volontari e operatori CRI: la guerra in Siria gli ha porta-to via la moglie, la madre dei suoi due bambini che ora si trovano lontani, su una nave diversa da quella sulla quale è salito lui durante le operazioni di salvataggio. Dopo tre ore di attesa, l’ultima nave entra in porto e dopo l’attracco i primi a scendere dalla passerella sono proprio due bambini, un maschietto e una femminuccia, tra i cinque e i sei anni. Smarriti, si guar-dano intorno e pronunciano quella parola dal suono così familiare: “baba”. Una corsa a perdifiato, con volontari e operatori CRI che li seguono, e finalmente l’abbraccio con il loro “baba” che li aspettava col cuore in gola. Le emozioni nascoste dietro un paio di lenti scure: “Meno male che ave-vamo gli occhiali da sole”, racconta Silvia Dizzia, la Case Worker del servizio RFL di Catania, ricordando la forte commozione che tutti, volontari e operatori, hanno provato di fronte a quella scena. La storia della piccola famiglia siriana ha avuto un lieto fine proprio grazie alla presenza del team RFL della Croce Rossa presente al porto. Il presidio di Catania è nato poco meno di un anno fa ma è già attivissimo nel ristabilire legami familiari se-parati dalle vicissitudini del viaggio che i migranti affrontano. Il Restoring Family Links nasce con Croce Rossa, in tempo di guerra, per cercare di ri-stabilire i legami familiari interrotti da un conflitto, ma negli anni si è evo-luto trovando applicazione anche in situazioni differenti, come disastri e calamità naturali, e da qualche tempo è applicato alle esigenze emerse a seguito del fenomeno migratorio. Così, oltre alla sede centrale di Roma e ai due uffici in Piemonte e Lombardia, grazie al CICR e alla Federazione In-ternazionale, in Italia si è aggiunto qualche mese fa l’ufficio RFL catanese. Il presidio siciliano ha fatto tesoro dell’esperienza seguita alla tragedia di Lampedusa del 2013, quando dopo il drammatico naufragio di fronte all’I-sola dei Conigli furono attivati un numero telefonico e un indirizzo mail ai quali i parenti delle persone scomparse e dei superstiti si potevano rivol-gere per avere notizie dei loro cari. L’avamposto RFL siciliano è nato da un gruppo di volontari: 12 persone tra mediatori, psicologi, interpreti e assi-stenti legali, che oltre a occuparsi delle richieste inoltrate da familiari in cerca di parenti lontani o dispersi hanno operato una piccola “rivoluzione” portando il servizio al porto, il primo luogo dove si pone spesso il problema di separazione delle famiglie, come dimostrato dalla vicenda dei piccoli siriani e del loro papà. “Il nostro compito di RFL al porto – spiega Silvia Dizzia – è prima di tutto individuare i nuclei familiari presenti, informarli sul fatto che c’è un diritto all’unione familiare che viene garantito dalle leggi internazionali e italiane. Informarli che quando arrivano, se sono con dei familiari, lo devono dire alle autorità presenti al molo per poter continuare il cammino insieme, altrimenti potrebbero essere separati”. A Catania, il servizio gode di un protocollo siglato con la Prefettura nello scorso agosto che permette all’ufficio RFL della CRI di accedere agli elenchi delle persone sbarcate, in modo da poter attivare con più rapidità le ricerche quando viene richiesto. Ma anche dove non è stato firmato alcun accordo, con le autorità locali responsabili delle attività di sbarco ai porti è nata una collaborazione efficace: “Il servizio è stato accolto benissimo da chiunque lavori con i migranti perché ne è stata capita l’utilità”, sottolinea Silvia. Il gruppo RFL sta ora lavorando per estendere le “linee guida” catanesi a tutta la Sicilia, individuando e formando i volontari interessati a svolgere al molo il servizio di informativa a tutela dei nuclei familiari. Prevenire è il modo migliore per evitare lunghi e spesso dolorosi iter di ricongiungimen-to. Per tutelare il diritto alla felicità di una famiglia riunita, per sentire gri-dare “baba” e poter ritrovare chi risponde a quelle piccole voci.