Lamin, il giovane che sognava la neve, è sfuggito alla guerra in Libia e oggi vive felice in Italia
Lamin al centro CRI di Settimo Torinese
di Giovanna Di Benedetto – Fino a tre anni fa Lamin voleva visitare l’Europa per realizzare il suo sogno: vedere la neve! La vita, si sa, fa strani giri e a volte i desideri si concretizzano in modo del tutto inaspettato. E così la neve è entrata nell’esistenza di Lamin attraverso la “primavera araba”. Questo ragazzo di 26 anni, nato in Niger e vissuto per 18 anni in Libia con la famiglia, tra i profumi del negozio della mamma e il lavoro in un call center prima e in un negozio di abbigliamento poi, non aveva tra i progetti di abbandonare i suoi cari e la sua casa. Ma la guerra civile esplosa nel 2011, le violenze successive, la morte di quasi tutti gli amici hanno stravolto i suoi piani. Convinto dalle esortazioni della madre e dello zio a mettersi in salvo, nel maggio del 2011 ha lasciato l’Africa e il conflitto alle spalle, con lo sguardo pieno di speranza e di fiducia rivolto all’Europa, per salire su una barca con altre 600 persone, affrontando 24 ore di navigazione fino all’approdo a Lampedusa. Da lì, attraverso Genova, è arrivato al centro della Croce Rossa di Settimo Torinese.“Prima della guerra non avevo pensato di andare via dalla mia terra – racconta Lamin – poi, quando ho visto morire molti miei coetanei, ho capito che per me era diventato pericoloso rimanere in Libia e ho deciso di partire, ma non avevo una meta, andava bene qualunque Paese, perché non conoscevo nessuno, non avevo chi raggiungere”.Da tre anni, quindi, questo giovane, nato nel Niger del Sahara e delle grandi savane, vive nel Nord Italia, in una località che di inverno si veste di bianco. Studia e lavora al “Febaldo Tenoglio” di Settimo Torinese, Centro Polifunzionale CRI preposto all’accoglienza di richiedenti asilo afferenti al circuito SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e FER (Fondo europeo rifugiati). Lamin è un operatore dell’accoglienza, si è specializzato frequentando corsi di formazione per la gestione di attività con i migranti, oltre ai corsi HACCP per la sicurezza alimentare.“Ho preso la terza media prima, ora ho concluso il biennio del liceo sociopsicopedagogico, che corrisponde alla qualifica di assistente per l’infanzia – continua Lamin – do, inoltre, una mano ai miei connazionali e mi occupo di tradurre dall’arabo, dall’italiano e dall’inglese. Vestire la divisa della Croce Rossa, indossare l’emblema riconosciuto, amato e rispettato in tutto il mondo mi riempie di orgoglio. Questo mi consente di aiutare tanti giovani che come me sono stati fortunati a uscire vivi dal mare, posso aiutarli, dare una speranza, insegnare loro ad avere pazienza”.
Per Lamin, così come per i 150 mila volontari italiani e i milioni nel mondo che quotidianamente l’indossano e agiscono ispirati dai 7 Principi, l’emblema della Croce Rossa significa concreta azione umanitaria, supporto e sostegno generoso e indiscriminato ai più indifesi e vulnerabili.Grazie alla conoscenza di tre lingue, alle difficoltà vissute sulla propria pelle relative a tutto ciò che riguarda, precede e segue il “viaggio della speranza” su un barcone strapieno di persone, Lamin riesce ad essere di grande aiuto a coloro che arrivano nel centro, dove l’atmosfera è di grande serenità e collaborazione reciproca. La sua è una storia a lieto fine, a fronte di tante che si perdono lungo la strada. E’ la storia di uno che ce l’ha fatta: non solo, infatti, è arrivato incolume sulle coste italiane, ha trovato assistenza e un’opportunità di inserimento, tramite la formazione quale “operatore per l’integrazione”, nell’ambito della convenzione SPRAR. Lo studio e l’attività con gli altri migranti gli hanno consentito di svolgere un ruolo attivo in un Paese straniero.Ma non è il solo. “Quello di Lamin non è l’unico esempio – spiega Ignazio Schintu, responsabile del Centro di Settimo Torinese – 15 persone collaborano con noi grazie alle borse lavoro, 24 hanno preso la terza media, 23 hanno seguito il corso per metalmeccanici, oltre 40 hanno sostenuto gli esami di lingua italiana, ottenendo una certificazione A2, altri ancora hanno trovato lavoro altrove, sempre grazie alle competenze acquisite presso la nostra struttura”.Le attività di formazione costituiscono il motivo di fondo dell’esistenza del centro CRI di Settimo Torinese. Il Febaldo Tenoglio, che prima con l’emergenza Somalia del 2009 e poi con la cosiddetta “Emergenza Nord Africa” del 2011 ha assunto la connotazione di centro di accoglienza, ha l’obiettivo di creare, attraverso attività formative diverse, una rete di competenze e di consapevolezze atte ad accompagnare il richiedente asilo, il beneficiario di una protezione sussidiaria o per motivi umanitari all’uscita della struttura con un bagaglio ben più ampio di un permesso di soggiorno o un titolo di viaggio ovvero con una formazione pronta per essere spesa nel mondo del lavoro, mettendo in luce la valenza e le attitudine del singolo. Da maggio 2011 a marzo 2013 sono transitate dal centro quasi 1800 persone. Dove transitare ha significato assistenza, mediazione e assegnazione dei giusti ospiti alla giusta struttura, nel rispetto di esigenze, usi e costumi.