La fine dell’umanitarismo, di nuovo?
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Di Yves Daccord, Direttore Generale del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) Nel quadro delle sempre di più frammentate e irrisolvibili situazioni di conflitto armato odierne – Siria, Iraq, Libia, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana e Ucraina, solo per citarne alcune – il divario tra le necessità enormi delle persone coinvolte nei conflitti e la capacità delle organizzazioni umanitarie di rispondere in maniera efficace sembra più grande di quanto forse non lo sia mai stato prima.Molte organizzazioni umanitarie sono assenti dalle aree di conflitto, apparentemente impotenti di fronte all’insicurezza dilagante e alla mancanza di accesso, bloccate dagli Stati e spesso da uno sconcertante schieramento di gruppi armati non governativi, alcuni dei quali sono soliti ricorrere a livelli estremi di violenza. Anche le regole più elementari del Diritto Internazionale Umanitario vengono violate in maniera sistematica, impunemente soprattutto. Allo stesso tempo, il principio del “non nuocere”, una volta adottato dagli attori umanitari per attenuare le involontarie conseguenze negative legate alla loro presenza – come alimentare l’economia di guerra attraverso le attività di assistenza e soccorso – sembra essere stato sostituito da quello di “non assumersi rischi”. Sempre più spesso le organizzazioni umanitarie scelgono deliberatamente di esternalizzare la loro risposta (e il rischio che ne consegue) affidandola a personale locale, mantenendo poco o nessun controllo sulla fornitura di aiuti e non stando vicino alle persone da aiutare.Nonostante sia enorme il finanziamento all’attività umanitaria a livello mondiale, sia sul piano geopolitico, sia in termini di settore, questo si concentra per la maggior parte negli aiuti alimentari. Ciò significa che le diverse necessità e le vulnerabilità di persone abbandonate a se stesse o che vivono in situazioni di crisi prolungate rimangono in gran parte insoddisfatte. Sistemi e procedure burocratiche rischiano di eclissare le esigenze delle stesse persone destinate ad essere al centro della risposta umanitaria.Ciò ha suscitato alcune aspre critiche – e spesso a ragione – contro il funzionamento del “sistema” umanitario internazionale (un termine improprio, se mai ce ne sia uno corretto, che implica che parti interconnesse funzionino insieme nel complesso). Le critiche arrivano non solo da scrittori, accademici e da alcune agenzie umanitarie, ma sempre di più da donatori non-occidentali e da Stati beneficiari, così come i gruppi non governativi prevalenti, che potrebbero non necessariamente aderire alle norme e alle pratiche umanitarie “tradizionali”. Alcuni addirittura sostengono che in un ambiente globale come quello di oggi, l’azione umanitaria neutrale, indipendente e imparziale, non solo è in crisi, ma non esiste più. La “fine dell’umanitarismo” è tornata ad essere il cupo tormentone degli uccelli del malaugurio del mondo degli aiuti.Il ritorno di questo argomento ciclico di certo esaspera il problema, anche se la crisi di base non è mai del tutto scomparsa. Dalla guerra del Biafra nel 1960 al genocidio ruandese e le sue conseguenze, fino alle guerre balcaniche degli anni 1990, la critica all’azione umanitaria internazionale nei conflitti armati risale a decenni fa. Le interferenze da parte degli Stati, la politicizzazione degli aiuti e dello sfruttamento delle agenzie umanitarie, come pure il comportamento senza scrupoli e poco professionale di queste ultime, non è una novità.
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Detto ciò, la gravità della crisi attuale non deve essere sottovalutata. Le carenze nella risposta umanitaria internazionale adesso sono ulteriormente amplificate dalle pressioni di un ambiente globale particolarmente turbolento e in rapida evoluzione. E’ evidente che basarsi semplicemente sul “business as usual” non è sufficiente per rispondere alle odierne sfide umanitarie. Con coraggio vanno trovati modi più innovativi per rispondere in maniera concreta al maggior numero di persone, il più rapidamente ed efficacemente possibile.La posta in gioco per gli attori umanitari come il CICR, è la capacità di fornire una risposta umanitaria che rispetti i principi fondamentali di imparzialità, neutralità e indipendenza. Questo è fondamentale per ottenere il più vasto consenso possibile da parte di tutti i soggetti interessati e, in tal modo, anche l’accesso sicuro alle popolazioni bisognose di protezione e assistenza. Per raggiungere questo obiettivo, tuttavia, c’è bisogno di più intelligenza e creatività in alcuni settori.Uno dei più cruciali – e più consolidati – di questi ambiti è il modo con cui cerchiamo di soddisfare le aspettative crescenti della gente che cerchiamo di aiutare, garantendogli la nostra responsabilità. I beneficiari hanno maggiore accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e possono valutare meglio, confrontare e infine classificare la “performance” dei diversi attori umanitari, i quali dovranno dimostrare il loro valore e accrescere la loro reputazione attraverso azioni rilevanti ed efficaci. Guadagnare fiducia e consenso con la vicinanza fisica ai beneficiari è, per il CICR, una parte indispensabile di questo aspetto. Cogliendo le opportunità – e la gestione dei rischi – poste dalle nuove tecnologie è altrettanto essenziale, e se ciò viene fatto con eleganza potrebbe certamente migliorare, piuttosto che indebolire, il principio di approccio.Un altro elemento chiave che richiede più “Thinking out of the box” è il modo con cui raggiungere e connettersi a soggetti interessati sempre diversi, a quali e perché. Al di là dei governi e delle organizzazioni partner, dobbiamo impegnarci meglio con le aziende private, le organizzazioni della società civile, i centri accademici e politici e molti altri. L’obiettivo è quello di stringere relazioni reciprocamente vantaggiose costruite sul consenso e sulla fiducia, e di collaborare allo sviluppo di approcci innovativi per l’azione umanitaria.Una terzo ambito fondamentale, che ha bisogno di qualche ripensamento radicale, è l’investimento sul nostro personale, la nostra risorsa principale e la chiave per essere in grado di garantire consenso e sostegno. Capitalizzando le capacità degli operatori, la loro esperienza e diversità – siano essi assunti a livello internazionale o locale – è più importante che mai, garantire i più elevati standard di professionalità in termini di prestazioni e affidabilità. Ciò richiede un nuovo, coraggioso, approccio per la gestione del personale – il modo con cui lo utilizziamo e attiviamo – garantendo che sia supportato con le giuste informazioni, strumenti e sistemi.L’umanitarismo, e più specificamente la risposta umanitaria internazionale, ha sempre conosciuto qualche forma di crisi, ma questa volta potrebbe essere davvero di fronte a un punto di rottura. In questi tempi particolarmente turbolenti e complessi, gli attori umanitari devono essere molto più innovativi e pieni di risorse, meno dogmatici e gretti, devono aderire più tenacemente che mai al principio di imparzialità, come minimo, se si vuole rimanere coerenti. I destinatari dell’azione umanitaria non chiederanno di più. La mancata risposta a questa sfida potrebbe segnare la fine dell’umanitarismo, con un costo umano potenzialmente catastrofico.