La Croce Rossa e il calcio. Le passioni di Nabi, mediatore culturale a Catania

Nabi, volontario della CRI i

Di Alessia LaiCorrere dietro a un pallone è sempre stata la sua passione. Una passione portata come un bagaglio lungo il viaggio che lo ha condotto dalla Costa d’Avorio fino in Sicilia. Era un ragazzino Nabi Ousmane, oggi mediatore della Croce Rossa a Catania, quando ha deciso di cercare una vita diversa, magari con un pallone tra i piedi. Con il suo carico di speranze è partito dal suo paese, ha attraversato il Mali e poi il Niger ed è arrivato in Libia. “Li stavo bene, lavoravo”, ricorda. Ma da ragazzini, quando si sogna un futuro diverso, si può lasciare tutto e partire. Ancora una volta. Così, la notte del 26 agosto 2008 Nabi si imbarca per l’Italia. Il viaggio è tranquillo e dopo due giorni arriva a Lampedusa. Nel 2008 le cose erano diverse, oggi invece il mercato dei disperati in fuga causa innumerevoli tragedie in mare. Prima del 2011, ricorda Nabi, il flusso era costante ma discreto e godeva di un minimo di sicurezza garantita da chi campava sul farti arrivare sano e salvo dall’altra parte del mare. Da quando la Libia si è sgretolata, diventando terra di tutti e di nessuno, non è più così, ogni viaggio è una scommessa col destino: i mercanti di uomini non sono interessati alla sorte della loro “merce”, mettono le persone su gommoni malconci o vecchie barche e le abbandonano nel tratto di mare che le separa dalle coste italiane. La loro destinazione non gli interessa, il loro destino nemmeno. Oggi Nabi ha una nuova vita in Italia, ma vede arrivare nei porti della Sicilia questa umanità in fuga, spossata da mesi di viaggio nel deserto, spesso provata dalla prigionia nelle carceri libiche e, in ultimo, dalla scommessa col mare. Oggi il suo impegno è aiutare chi scappa da povertà, mancanza di prospettive, guerre, violenze, accogliendo queste persone in una lingua che comprendono. “Mio padre diceva che nessuno è nato con la lingua, che tutti abbiamo imparato a parlare. A dire vieni in una lingua e vai in un’altra lingua. Io faccio da tramite tra lingue diverse e in qualche modo cerco di capire di cosa le persone hanno bisogno. E se posso dare aiuto lo do”.

  Nabi, volontario della CRI i

Aiutare, essere tramite, accogliere è stato il suo scopo fin da quando, arrivato in Italia da minore, Nabi si è trovato a dover affrontare la barriera linguistica che lo separava da chi voleva avere cura di lui. “Le lingue che conosco possono aiutare altre persone che hanno bisogno. Ci sono situazioni che anche io ho vissuto: come quando non riuscivo a comunicare le mie esigenze. Quando stavo in comunità nessuno parlava una lingua che io conoscevo. Una volta sono stato molto male, dovevo prendere dei farmaci ma era Ramadan e non avrei potuto mangiare. Purtroppo dovetti farlo, ma perché non riuscii a spiegare che ero già stato male e che sapevo che mi sarebbe bastato un antidolorifico per andare avanti fino alla fine del Ramadan”. Per questo ha voluto fare il mediatore, per dare l’opportunità ad altri di poter essere capiti in un momento di estrema vulnerabilità. Il porto è stato l’ultima tappa nella sua esperienza: ha prestato il suo aiuto nelle commissioni che valutano le richieste di asilo politico, in ospedale e in Questura, dove è essenziale per i migranti essere messi nella condizione di capire quel che gli accade. Poi, l’esperienza in Croce Rossa, il cui emblema non era certo una novità. Quel simbolo, infatti, è nella sua memoria di ragazzino: “Perché io la Croce Rossa la conosco fin da quando stavo nel mio paese. Faceva attività nelle scuole per insegnare come aiutare le persone ferite nelle guerre”. Per questo Nabi sa che quando le persone arrivano nei porti italiani e vedono il simbolo di Croce Rossa si sentono al sicuro. “Dietro Croce Rossa c’è una parola: aiuto. Tutto il resto viene dopo. Un aiuto può essere un sorriso, una parola di benvenuto, un bicchiere d’acqua”, dice mentre gli si illumina lo sguardo. “Appena scendono, i migranti vedono te con la divisa e sanno che tu sei lì per aiutarli”. Quando non è impegnato al porto Nabi toglie la divisa di Croce Rossa, ma ne indossa subito un’altra, quella dello Scordia, una squadra di calcio siciliana che milita in serie D. Negli anni ha infatti custodito e coltivato quel bagaglio con cui è partito, ragazzino, dalla Costa d’Avorio: “Il calcio è ciò che mi rende felice. È come Croce Rossa. Sono due passioni, due modi di aiutare me stesso e gli altri. Quando sono in campo dimentico tutto, dedico tempo a me stesso. E anche quando sono al molo, con la mia divisa, dimentico tutto e so che devo aiutare le persone in qualche modo. Essere in Croce Rossa per me significa questo: aiutare le persone con cuore aperto, senza pensare ad altro. È la mia dimensione”.

  

          

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