Intervista a Emerico Laccetti, Responsabile del CIE di Roma della Croce Rossa Italiana, che appare nel film “Le ultime 56 ore”, in uscita il 7 maggio. Il thriller affronta il dramma dell'uranio impoverito
E’ in uscita il 7 maggio nelle sale cinematografiche italiane il film “Le ultime 56 ore”, del regista Claudio Fragasso, thriller – denuncia sui danni provocati dal contatto con l’uranio impoverito. Il film, distribuito da Medusa, è ispirato alle vicende di personaggi reali. Tra questi c’è anche Emerico Maria Laccetti, Responsabile del Centro Interventi di Emergenza (CIE) di Roma della Croce Rossa Italiana, Maggiore del Corpo Militare CRI, che ha vissuto il dramma della malattia sulla propria pelle, sconfiggendo un terribile cancro dopo l’esposizione alle polveri dell’uranio impoverito. Con la propria testimonianza ha contribuito, assieme a Domenico Leggero dell’Osservatorio Militare, alla realizzazione della pellicola. Laccetti, 46 anni, di Roma, sposato e padre di tre figli, da 20 anni è nella Croce Rossa Italiana, con la quale ha preso parte a numerose missioni di soccorso in tutto il mondo e a operazioni di pace in aree di crisi. Kosovo, Bosnia, Iraq, Sri Lanka, Georgia, Haiti. Anni di emergenze e missioni in soccorso alla popolazione in occasione di disastri naturali e in teatri di guerra. Nel 2000 arriva però la sfida più dura: un linfoma dovuto agli effetti dell’uranio impoverito con il quale era venuto a contatto nei Balcani… Esattamente. Ho scoperto di essere malato nel dicembre del 1999 al ritorno dall’Albania nell’ambito della Missione Arcobaleno. In realtà è successo in modo del tutto casuale. Avevo la sensazione di non riuscire a chiudere completamente il respiro in fase di inspirazione dell’aria. Ho voluto fare per accertamento una lastra al torace. Ricordo l’espressione del tecnico quando ha sviluppato la lastra… era diventato pallido, tutti mi sfuggivano, nessuno voleva affrontarmi finché ho bloccato un dottore il quale, messo alle strette, mi ha mostrato la lastra: una massa 22X24 cm occupava il mio torace. Da lì sono cominciati i mille controlli per dare un nome a questo nuovo ospite: sarcoidosi, sarcoma, timona, linfoma. La vigilia di Natale sono stato sottoposto ad una tac che ha confermato la presenza di una massa…la scena si è svolta come quando ho effettuato la lastra con la differenza che il tecnico mi ha detto candidamente: “cosa vuoi che ti dica… passa bene le feste perché non so se ci sarà un altro anno per te!”. Il primo gennaio, mentre il mondo festeggiava l’avvento del nuovo millennio, sono stato ricoverato in Chirurgia toracica per effettuare l’esame istologico. Il 3 gennaio sono stato operato, ricordo poco di quel giorno, solo mia sorella che mi accarezzava piangendo e mia moglie che non mi restituiva la mano. Il 4 mattina, lo ricordo come fosse adesso, passò la visita del Prof. Martelli, che mi aveva operato, e mi disse che si trattava purtroppo di un enorme tumore maligno. Mi affidai quindi alle cure del reparto di Ematologia del S. Eugenio. Sono stato sottoposto a mille tamponi, iniezioni, prelievi, lastre il prelievo del midollo spinale e soprattutto alla terribile biopsia ossea. Venni trasferito sempre in terapia intensiva, ma fuori dall’isolamento, e cominciai di lì a poco 12 cicli di chemioterapia con tutti i suoi effetti collaterali più terribili. Dopo i primi quattro cicli la massa si era ridotta di oltre l’85% e al termine non c’era più, ma per completamento della terapia iniziai 20 cicli di radioterapia. Era ormai giunta la fine dell’estate, l’anno verteva al termine e forse anche la mia battaglia… avevamo vinto! Chi ti è stato vicino durante la malattia? Sicuramente la mia famiglia e non solo, ma l’amore è stato certamente il motore che mi ha trascinato fuori da questa triste, se pur costruttiva, avventura, insomma quello che mi ha dato la voglia di resistere, di andare avanti, di vincere! A tale proposito, forse, una piccola parte del mio libro può dare una risposta più comprensibile: “In questi momenti sto riscoprendo il significato della parola amore. Forse non sono mai stato capace di amare veramente, ma adesso ne riesco a percepire chiaramente l’emozione e l’effetto benefico che ne scaturisce. Una forza pazzesca ti esplode dentro, ti torna la voglia di lottare per vivere, non senti la stanchezza della battaglia, hai sempre energie pronte per batterti con tutto te stesso contro chi e cosa non vuole che tu viva e così scopri quanto sia bello sentirsi amato”. Quando la vita ti sorride non hai mai tempo per soffermarti sul sorriso di tuo figlio o a comprendere il perché di un suo pianto, di un capriccio o di qualche sua domanda impertinente, non ti accorgi di quanto amore giri attorno a tutto questo, e soprattutto quanto possa dare un tuo sorriso, una carezza, una parola detta al momento giusto. Si è soli quando ci si deve difendere da continui attacchi, da menzogne, da cattiverie. È così che viviamo la nostra vita. Fino a quando improvvisamente accade qualcosa che ti costringe ad accorgerti che stai sbagliando. Che vale la pena di fermarsi ad assaporare le cose belle che ti sono offerte interrompendo una corsa illusoria verso una felicità falsa e bugiarda. Nel tuo libro “Due guerre”, editrice Memori, hai raccontato l’esperienza della malattia e la tua ricerca della verità sulle gravi conseguenze sanitarie provocate dal contatto con l’uranio impoverito. Ci puoi spiegare cos’è l’Uranio Depleto (DU)? L’uranio impoverito non è altro che l’insieme delle scorie delle centrali nucleari, praticamente quella stesse sostanze che ieri venivano custodite come rifiuti speciali in contenitori schermati a costi elevatissimi. Oggi invece lo si distribuisce indiscriminatamente sul terreno e si vuole dimostrare che non è dannoso: o si era stolti ieri o bugiardi oggi! L’uranio si trova diffusamente in natura come una miscela di tre isotopi e per poterlo usare efficacemente negli impianti per energia nucleare, o per la costruzione di bombe atomiche, è necessario operare il processo detto di “concentrazione”, di arricchimento della percentuale di uranio 235, che permette la fissione nucleare. In larga quantità, il sottoprodotto di tale processo è l’uranio depleto (impoverito), che effettivamente costituisce scorie radioattive. La sua percentuale di radioattività equivale al 60% di quella dell’uranio naturale ed emette radiazioni alfa. I raggi alfa hanno debole forza di penetrazione, possono propagarsi nell’aria solo per qualche centimetro. Di conseguenza, non hanno effetti sul corpo umano senza un contatto diretto con esso, ma se una pur piccola particella di uranio depleto entra nel corpo può causare una esposizione radioattiva all’interno estremamente pericolosa. Stoccare DU è molto dispendioso, ma trovargli un utilizzo, in qualsiasi modo, è quello che il Dipartimento USA per l’Energia ha cercato di fare. È nelle munizioni per l’Esercito che il DU viene usato in larga scala, viene inserito nelle ogive delle bombe con l’intento di aumentarne il potere di penetrazione e anche nelle corazze dei carri armati in modo da accrescerne la capacità difensiva. Inoltre, quando il DU esplode all’impatto e brucia con sviluppo di alte temperature, produce micro-particelle di ossido di uranio diffuse nell’atmosfera e trasportate nell’aria, che ricadono al suolo inquinando l’ambiente, il terreno e l’acqua. Quando le particelle di Uranio vengono inalate dal corpo, aggrediscono dapprima la trachea e il sistema respiratorio. Visto che le particelle sono praticamente insolubili, hanno difficoltà a dissolversi nel sangue e quindi restano depositate per un lungo periodo di tempo, continuando ad esporre alle radiazioni gli organi vicini. Perciò, inducono nelle cellule e nei geni alcune trasformazioni, causano tumori, leucemie, linfomi, malattie e anomalie congenite. In pratica vengono assorbite nel sangue e nel sistema linfatico, producendo malattie e danni in tutto il corpo. Le truppe della NATO hanno usato uranio depleto sparando 10.800 colpi (2750 kg) in Bosnia-Erzegovina dal 1994 al 1995, e circa 31.000 colpi (otto tonnellate) nel 1999 in Kosovo. Dopo il conflitto, fra il personale del PKO e la popolazione locale, non si contano più ormai coloro che se ne sono andati all’altro mondo, avendo accusato gli stessi sintomi presentati dai veterani della Guerra del Golfo, così come per chi era stato in Iraq: tutti hanno manifestato gli stessi sintomi di gravi sofferenze e lesioni fisiche, e non vi sono dubbi che questi sono effetti dovuti all’uranio depleto. Questo tipo di munizioni veramente pericolose sono state disseminate in grande quantità su tutto il territorio dei Balcani e dell’Iraq. I veterani delle Guerre stanno soffrendo degli effetti dell’uso di queste pericolose armi a DU. Tra costoro vi è stata un’alta incidenza di vari disturbi in differenti parti del corpo, oscillando dalla perdita dei capelli, all’emicrania, artralgia, gastralgia, diarrea, fino alla perdita di memoria, insonnia, etc. e a sintomi effettivamente cronici di cancro, leucemia e immunodeficienza. Che l’uso di armi a DU sia un atto illegale in violazione del Diritto Internazionale Umanitario è chiaro in modo evidente. Con convinzione ribadisco che tutte le nazioni, partendo da quelle che si ritengono “civili”, dovrebbero legalmente obbligarsi a bandire la produzione, il deposito, il trasferimento nonché l’uso di munizionamento a uranio depleto. Nonostante l’Italia non faccia uso di questo munizionamento, l’uranio impoverito presente negli armamenti di altri Paesi ha provocato numerose vittime tra i soldati italiani. A che punto è il percorso sul riconoscimento della consequenzialità medico-scientifica tra esposizione al DU ed effetti sanitari? Il riconoscimento sul nesso eziologico fra esposizione ed insorgenza delle patologie è certamente ancora in alto mare, ma forse è normale. Il fatto che palesemente l’uranio impoverito faccia male non vuol dire che si possa affermare con fermezza l’esistenza di un nesso certo. A tale proposito è necessaria una premessa: l’uranio impoverito, poiché emettitore di particelle alfa, se contenuto anche solo in un scatola di plastica diventa innocuo (è questo il motivo per il quale, i militari americani che operano all’interno dei carri M-1 con corazza all’uranio impoverito, se non colpiti da altri proiettili, non presentano gravi patologie). I problemi, che sono gravissimi, avvengono nel momento in cui l’uranio entra all’interno del corpo umano sotto forma di pulviscolo o sotto forma di schegge. Perché è importante fare luce su questo argomento? Beh il perché è ovvio, scoprendo la verità si possono risparmiare tanti dolori e tante perdite fra i nostri militari e civili. L’obiettivo principale deve essere la tutela del personale. E’ forse più interessante capire il perché non si vuole risolvere il caso uranio. Mi chiedo se sia ipotizzabile presentare una denuncia contro coloro, siano essi vertici delle Forze Armate o del Ministero, che hanno omesso, per dolo o per colpa, di attribuire e assegnare ai soldati italiani delle protezioni contro le radiazioni, le polveri e le altre sostanze presenti nei luoghi di lavoro, che avrebbero potuto diminuire il rischio di malattie, tra cui i tumori derivanti dall’uranio, ad esempio. Se infatti è vero che non è stato dimostrato un nesso causale tra uranio e tumori, è vero anche che in molte sentenze la Cassazione afferma che ai fini della sussistenza del rapporto di causalità è sufficiente che l’effetto (evento tumore) consegua dalla causa (lavoro) in termini di “alta probabilità” (cass. 20/03/2000). In altri termini non deve esserci una prova certa del nesso basata su leggi universali essendo sufficiente una grado di probabilità alto (vicino alla certezza) dimostrabile secondo leggi statistiche (cass.5716/2001). Dopo aver vinto questa durissima battaglia, hai continuato a svolgere il tuo lavoro in Croce Rossa al servizio di chi ha bisogno, recandoti comunque in zone critiche, come in Iraq. A gennaio eri ad Haiti, pochi giorni dopo il devastante terremoto, alla guida del primo contingente della Croce Rossa Italiana. La tua vita viene sempre dopo gli altri? La mia vita ho scelto di porla al servizio degli altri, ma non solo per loro, anche per me. Credo che non ti scaldi niente più del sorriso di un bimbo riconoscente o la gratitudine di una persona che ha perso tutto ciò che aveva… Credo di poter affermare, senza paura di essere smentito, che il mio lavoro sia uno dei più belli del mondo. Io con l’Associazione che rappresento porto speranza, il sorriso nei bambini, la certezza del domani. Sono il comandante di un centro operativo di emergenza e ho la responsabilità di uomini che operano per un ideale puro in cui credono fermamente. L’essere andati a tendere la mano a chi meno fortunato di noi soffriva per una situazione probabilmente neanche voluta da lui mentre altri subdolamente seminavano veleno mi indigna fortemente, sia per la gente che soccorrevo sia per i miei uomini che, ignari di ciò che gli poteva accadere, lavoravano senza sosta felici di farlo. Questa cosa davvero mi fa star male. Quando, ahimé, sono venuto a conoscenza dell’uranio impoverito, la missione in Kosovo era ormai per noi finita. Quindi posso esprimere la mia sensazione limitatamente al dopo. Peccato, perché il mio ‘prima’, credetemi, era pieno di entusiasmo! L’idea di beccarsi una pallottola vagante era in programma, ma di avere a che fare con un nemico invisibile, assolutamente no! Mi sento in colpa anche nei confronti dei miei uomini ai quali ho promesso protezione in cambio della loro fiducia, ma non sono stato messo nella condizione di mantenere l’ABC di un Comandante. Come diceva Virgilio Vivit sub pectore vulnus (la ferita sanguina nell’intimo del cuore Eneide IV, 67). (Lucrezia Martinelli)