Il viaggio di Abdel: attraverso l'Europa per arrivare dalla Siria a Malta. E trovare alla fine ospitalità in Sicilia

Abdel con volontari CRI a Mineo

di Alessia LaiMineo: Abdel* cammina tra Camilla e Silvia. È un ragazzone, sembra un gigante accanto alle due ragazze con indosso gli emblemi della Croce Rossa. Abdel viene dalla Siria e Silvia Dizzia, la caseworker RFL di Catania, lo ha incontrato nello scorso autunno a Malta, da detenuto, per poi ritrovarlo a febbraio al CARA Mineo, non certo alla fine del suo viaggio ma almeno in un momento di relativa tranquillità. “È la prima volta che parlo senza ansia, la prima volta che mi sento sereno”, racconta Abdel grazie alla traduzione di Camilla, la mediatrice culturale di Croce Rossa. Il primo momento di pace da quando, assieme a tre amici, ha deciso di lasciare la Siria per cercare di arrivare a Malta, dove c’è una nutrita comunità siriana e dei parenti che Abdel e i suoi compagni volevano raggiungere. Lui è il “portavoce” del gruppo, racconta del loro viaggio lungo e difficile. Malta è una piccola isola, a metà tra la Libia e l’Italia e per tentare di arrivarci dalla Siria i ragazzi hanno scelto la via più lunga, quella dell’Europa. Era una questione di probabilità: passare per la Libia è troppo pericoloso. Quella della rotta balcanica è stata la scelta del ‘meno peggio’. In Siria Abdel e i suoi amici vivevano vicino a Tadmor, zona in cui la situazione si è sempre più deteriorata: niente lavoro né modo di mantenersi e soprattutto troppa insicurezza. Come per molti altri siriani il passaggio per l’Europa è avvenuto attraverso la Turchia, poi in Grecia via mare fino a Kos. Una rotta battuta per mesi, tanto che altri amici e la piccola famiglia con la quale oggi Abdel condivide una casa a Mineo hanno fatto lo stesso percorso, anche se in momenti diversi. Le rotte si aprono, il passaparola le fa scegliere da chi fugge finché qualcuno non decide di erigere un muro. Da Kos i ragazzi vengono portati in battello ad Atene. Poi un passaggio di mano in mano, di polizia in polizia. Ogni paese un timbro diverso sui fogli di carta, fino ad arrivare in Croazia e poi in Austria. In tanti cercano di proseguire verso la Germania, ma loro no: loro vogliono arrivare a Malta. Così attraversano tutta l’Italia, da nord all’estremo sud, in pullman, treno, a piedi. Milano, Catania e poi Pozzallo. Non dal mare ma via terra. C’è comunque un altro tratto di mare da superare e lo attraverseranno più volte, rimpallati tra la Sicilia e Malta, da un’isola all’altra, in un limbo di incertezza e angoscia. Perché Malta non li vuole. Il 15 ottobre sono a Pozzallo e si imbarcano per la piccola isola, ma una volta sbarcati finiscono in un centro di detenzione, rinchiusi in celle separate, senza nessun contatto con l’esterno. Chiedono lo status di rifugiati ma l’avvocato d’ufficio nemmeno li incontra e pochi giorni dopo la sentenza del giudice gela le loro speranze: domanda respinta perché sono entrati nel paese da irregolari. Vengono messi su una nave e, scortati dalla polizia maltese, rispediti a Pozzallo. Qui la polizia italiana controlla carte e passaporti, ma i ragazzi non risultano essere mai stati registrati in Italia e gli viene negato l’ingresso: per le autorità italiane devono tornare da dove sono venuti. Arrivati per la seconda volta a Malta vengono nuovamente rinchiusi nel centro di detenzione e dopo qualche giorno vengono spostati in un campo vicino all’aeroporto, in realtà anche quello un carcere, stavolta però con 15 persone per stanza.

  Abdel con volontari CRI a Mineo

Ricomincia l’iter per richiedere l’asilo, siamo a dicembre, a due mesi dall’inizio del viaggio. Di fronte al silenzio delle autorità maltesi l’unica soluzione per Abdel e i suoi compagni di viaggio è lo sciopero della fame. Gli unici che hanno il permesso di entrare nel centro sono i membri della Croce Rossa. I ragazzi li incontrano, sono il loro unico contatto con l’esterno. Dopo 2 mesi di internamento vengono liberati con l’obbligo di presentarsi ogni giorno per firmare. Alla nuova domanda di asilo arriva però un altro no: la risposta è che devono tornare in Italia. A metà febbraio vengono imbarcati sulla solita nave di linea, scortati da uomini della polizia maltese in borghese e chiusi in una cabina senza poter uscire. Una volta sbarcati a Pozzallo si presentano all’hotspot e stavolta gli viene permesso di restare in Italia e fare domanda di asilo. Pochi mesi prima, quando avevano transitato per la prima volta da Pozzallo avevano incontrato Karim*, cugino di uno di loro tre, che aveva preferito non tentare di andare a Malta e aveva trovato ospitalità a Mineo. Al ritorno a Pozzallo, a febbraio, grazie al servizio RFL i due cugini si sono riuniti e così tutto il gruppo di viaggiatori è stato accolto a Mineo. È li che li ha incontrati, per la seconda volta, Silvia. Sì, perché la prima volta era stata a Malta, in occasione della visita del CICR al centro di detenzione nel quale Abdel e i suoi amici erano rinchiusi e facevano lo sciopero della fame. Il destino di Abdel e dei suoi compagni è legato al filo rosso dell’RFL ed è la dimostrazione che laddove nessuno ha accesso, la Croce Rossa riesce a entrare, a mediare, ad aprire spiragli di umanità. È impossibile intervenire nelle dinamiche legali degli Stati, ma si può far sentire a chi è solo la sensazione di non essere completamente abbandonato. Mineo non era certo la destinazione di Abdel e dei suoi amici, ma ora, grazie alla riunione dei due cugini attraverso il servizio RFL, tutto il gruppo ha trovato ospitalità. E non in un campo di confine, come alla frontiera greco-macedone, dove uomini, donne, bambini sostano come in un girone infernale. Abdel e i suoi compagni hanno superato quel confine quando ancora non era diventato un muro, ma quando hanno raggiunto la loro meta, Malta è diventata il loro girone infernale. Ora, a Mineo, è più facile pensare al domani. Abdel  vorrebbe solo i documenti, vorrebbe essere in regola con la legge e soprattutto non vivere di sussidi ma trovare un lavoro e potersi mantenere. “Se la guerra finirà,-dice- tornerà nel suo paese”. L’umanità in fuga dalle guerre la vediamo alla tv o fissata sulle foto nei giornali, ma non pensiamo alle distanze che percorre, alle fatiche che affronta per cercare sicurezza. C’è sempre chi sceglie di restare nel proprio paese e chi invece decide di cercare un futuro lontano dalla terra amata oramai invivibile. E qualunque scelta comporta dei pericoli, si tratta solo di decidere cosa si è disposti a rischiare: il futuro può essere fatto a pezzi da un attentato, un rapimento, un bombardamento oppure può andare a fondo nel mare e perdersi in un lungo viaggio senza certezze. Tra coloro che scelgono di andare via, in tanti intraprendono il cammino assieme a mogli, figli, anziani, sapendo che il rischio di non farcela varrà anche per gli affetti più cari. Si può considerare fortunato chi supera indenne il mare ma poi trova barriere di filo spinato sul proprio cammino? Chi si trova a eleggere il proprio domicilio in campi fangosi, dentro a tende di fortuna, con un focolare fatto di rami e sterpaglie racimolate dai bambini lungo binari che non li condurranno da nessuna parte? I siriani che scelgono di abbandonare il loro paese cercano vie di fuga e speranza lungo le strade di un’Europa sempre più ostile. E di fronte ai muri torneranno alle vecchie rotte, se possibile ancora più pericolose di quelle attuali, cammineranno ancora, saliranno su battelli precari per affrontare tratti di mare più lunghi. Sono un fiume umano che trova dighe di indifferenza. Ma come l’acqua prenderanno altre vie, spinti dall’inesorabile bisogno di trovare un luogo sicuro in cui ricominciare a pensare al domani.  *su richiesta dei protagonisti della storia i nomi utilizzati sono di fantasia

  

          

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