È arrivato dal nord Europa per cercare il fratello. Da Lampedusa la storia di uno dei familiari delle vittime

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foto archivio/Laura Bastianetto

Un viaggio atteso. Un viaggio verso una nuova vita. Un viaggio ricco di speranze. Le stesse che sono affondate nel profondo blu di un mare diventato il cimitero di troppe vite naufragate in cerca della libertà. E adesso c’è anche un altro viaggio. Quello dei familiari delle vittime, che arrivano sull’isola di Lampedusa per riconoscere e ricongiungersi con i propri cari. Un appuntamento che in molti aspettavano da  tempo, troppo. E non è affatto come quello che immaginavano nei loro cuori. Questa volta non c’è il sorriso sui loro volti, ma solo le lacrime di una sofferenza senza precedenti. “L’ho sentito poco più di una settimana fa, era pronto per partire. Anche io sono arrivato così, dopo un viaggio di 40 ore e da 9 anni vivo nel nord Europa”. Pensava di riabbracciare il proprio fratello, A., giovanissimo forse ha 25 anni, ma con le rughe d’espressione di un adulto di esperienza. Troppa.Del fratello non ha ancora notizie. “Ho controllato nella lista dei corpi recuperati, ho letto i nomi e visto le foto ma non ho trovato il suo. Rimarrò a Lampedusa per continuare a cercarlo, tra i corpi che sono ancora in fondo al mare”. È l’ultima speranza di chi nella vita ha lottato per salvarsi e per salvare i propri fratelli.A raccontarlo sono gli operatori CRI del Progetto Praesidium che gli sono stati accanto e che continueranno a farlo. Attraverso il team presente sull’isola, la CRI supporta psicologicamente i superstiti e i familiari delle vittime, grazie anche al mediatore culturale, portavoce di quelle vulnerabilità che devono essere superate per favorire il ricongiungimento di quel legame spezzato da un destino segnato dalla disperazione.

  

  

          

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