Difficoltà, silenzi e speranze: il racconto di Claudio, senza dimora a Milano
Foto di Luigi Tesauro
“La strada è come una ragnatela dove rientri sempre, ci rimani invischiato anche se non lo vuoi!”. Claudio, un nome di invenzione, dorme da anni sotto un porticato nel centro di Milano. È un senza dimora storico con i capelli bianchi, lunghi e la barba, sembra quasi un asceta o un personaggio biblico. Alle nove di sera è già dentro il suo sacco a pelo, mentre sorseggia un tè caldo in un bicchiere di carta datogli da un volontario della Croce Rossa Italiana.L’obiettivo del servizio di Unità di strada è quello di attenuare l’urgenza dei bisogni primari delle persone che vivono in strada e tutelarne la salute e la dignità.Nella sua vita precedente Claudio è stato un uomo di lettere, di ricerca e di studio, spiega in un buon italiano, “ma poi le cose hanno preso un altro verso ed ho cercato questo riparo di fortuna che oggi è la mia casa”.Claudio non sa chiedere aiuto, ha lo sguardo perso di chi si è scoraggiato e poi si è arreso.Si finisce in strada per una separazione, per aver perso il lavoro, per una dipendenza che diventa una malattia, per abusi e violenze consumate dentro le quattro mura, sono tante le disgrazie che affliggono i senza dimora, in Italia se ne contano circa 1600 assistiti dalla Croce Rossa.Claudio si è arreso un brutto giorno in cui è morta sua madre ed il mondo gli è crollato addosso. Tirare avanti con la casa, le bollette, la spesa da fare tutti i giorni non era cosa per lui.Ed ora è diventato solo una delle tante piccole presenze nella notte, nel cuore di una città grande come Milano che di giorno pulsa di vita frenetica fra le sue arterie e la notte ospita gli invisibili, gli ultimi della Terra.A volte l’ascolto dei volontari è più importante di un panino o di una coperta donata e non è sempre facile affrontare un disagio complesso e cercare di instaurare un dialogo con discrezione e nel totale rispetto della persona.Dopo il lutto è sopraggiunta una forte depressione e poi giù verso ll baratro. “Il mio è stato un crollo verticale!”, commenta Claudio abbassando le palpebre e scuotendo la testa. Il senso di resa che c’è nel suo sguardo fa male: “Io sono ammalato di pigrizia e durante il giorno mi siedo in quella panchina di fronte!”. La indica con la sua mano deformata dall’artrosi e dal freddo.La panchina diventa un simbolo per chi vive così. Ci vuole coraggio per affrontare la vita: “E la mia vita è senza valore.”Claudio ha gli occhi consumati e le rughe profonde che sembrano quasi delle cicatrici, la strada è una brutta bestia ed i lineamenti di chi ci vive si alterano con il tempo. Poi aggiunge: “Non mi ricordo più quanti anni ho, tanto tempo è passato…”.“I volontari che mi vengono a trovare la sera sono la mia sicurezza e sostituiscono l’affetto che oggi non ho più!”.Un sorriso accennato: “È questa oggi la mia vita… un’unica certezza”.Aggiunge: “No, io non ho rabbia per essere finito così, piuttosto una strana vergogna che mi è rimasta nel chiedere quando ho bisogno! Mi manca il coraggio di salire quel gradino e mi sento in un limbo, è come un’attesa”.La povertà spesso è una punizione per qualcosa che non hai commesso, è come uno schiaffo dato a un innocente.“È umiliante chiedere ed allora mi isolo. La mia strada per l’inferno sarebbe lastricata di buone intenzioni ma poi mi arrendo…Si tira più su il sacco a pelo e si prepara ad affrontare la notte: “Sarebbe bello rivivere un’altra vita, più umana, dove le cose non fanno così male, una vita lontana da questo silenzio”.Un sussurro che sembra quasi una profezia. (Barbara di Castri)