Croce Rossa Italiana in Iraq. Storie dal confine

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Il confine tra Turchia e Iraq è stato aperto a seguito degli ultimi eventi in Siria, in particolare quelli che hanno coinvolto la città siriana di Kobane. Anche nella missione CRI ce ne siamo accorti, più che dai notiziari, dalle attività sul campo. È una parte particolare del nostro lavoro qui, quella di vivere di riflesso quello che accade vicino a noi. Le nostre però, vogliono essere storie di speranza, dopo l’orrore. E cerchiamo di metterci un po’ di noi stessi e di quello che sappiamo fare. Sabato scorso, una chiamata da parte dei colleghi della Mezzaluna Irachena: “Alla frontiera di Zakho sono necessari pasti caldi pronti. È urgente. Ci sono persone disperate in fuga da giorni che necessitano di aiuto”. Non ci abbiamo pensato un attimo, è stato un gioco di sguardi con i volontari della nostra consorella: caricati i pasti sugli automezzi, siamo partiti alla volta della frontiera. La frontiera è intitolata a “Ibrahim Khalil”, e tutti la chiamano così.Alla frontiera tante persone, tante storie. Non parliamo più di IDP (Internal Displaced Persons) ma di refugees, profughi provenienti da un altro paese. Nazionalità diverse, ma la stessa paura negli occhi.Arrivano a bordo di minibus, auto, pick up con cassoni stracolmi di uomini, donne, bambini, anche piccolissimi. È uno scenario che fa capire che cosa voglia dire fuggire per non perdere la vita. Con loro non hanno quasi niente, li immaginiamo mentre in fretta e furia preparano quel borsone di plastica, quella vecchia valigia o quello zaino che adesso è lì, accanto a loro mentre fuori dalle loro case si scatena l’inferno. Dall’interno di questi bagagli improvvisati spuntano maglioni, giacche pesanti. Saranno preziosissimi tra qualche settimana. Anche i bambini tengono in spalla i loro zainetti stracolmi, quasi non riescono a camminare per quanto sono pieni, ma non li abbandonano mai. Li custodiscono come tesori. Dentro ci sono i loro cappottini e qualche giocattolo, forse. Spunta anche qualche libro di scuola.

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Sono stati riuniti in una zona appartata della dogana, sono più di 500, ma non c’è rumore: troppo stanchi anche per parlare. L’atmosfera è resa ancora più pesante da un cielo plumbeo che minaccia pioggia.Le famiglie sono sedute a terra, a gruppetti. Molti anziani e alcuni bambini cercano di dormire, nonostante la posizione poco confortevole. Quello che colpisce è la dignità di queste persone. Molti uomini, anche di età avanzata, sono vestiti di tutto punto, col vestito migliore, la giacca, la camicia bianca e lo stesso vale per le donne nei loro lunghi abiti.Nemmeno i bambini hanno la forza di giocare. Hanno fame, ci dicono gli addetti ai lavori.E allora iniziamo con la distribuzione. Riso e pollo, oggi. E un pezzo di pane per ciascuno. Tocca proprio alla CRI, insieme alla consorella irachena, organizzare la distribuzione. Disponiamo tutti in fila, e cominciamo: mani tese, tanti “grazie!” e occhi lucidi. Occhi lucidi nella speranza di avercela fatta, occhi lucidi per la stanchezza, occhi lucidi per quella mamma che, stringendo forte a sé i suoi bambini, in fila, prende la vaschetta con il pasto, lo guarda e scoppia a piangere. Forse perché realizza l’amarezza di questa situazione, e che arrivare a dover prendere un pasto caldo, quando magari fino a pochi giorni prima vivevi una vita agiata e normale, be’ fa male, e tanto. Poi una donna anziana non riesce quasi ad avvicinarsi perché non riesce a stare in piedi. Deve salire due scalini che le sembrano montagne per arrivare a noi. Un volontario la vede, la riaccompagna a sedersi e le porta il pasto con dolcezza.Lo stesso con un bambino di pochi anni, che, intrappolato nella folla, non riesce  mai ad arrivare alla sua vaschetta. Prenderlo in braccio e dargli la sua porzione ci ha fatto regalare un sorriso senza prezzo. Tutti mangiano con gusto. Sono scene da raccontare ai cuochi che dalle prime ore del mattino si prodigano affinché sia tutto perfetto, merito anche di quell’ingrediente segreto, l’umanità, che non facciamo mancare mai in ciò che facciamo.Alla fine abbiamo distribuito 550 pasti, terminati in un lampo. Le famiglie ritornano dove stavano al nostro arrivo, chiuse in gruppetti accanto ai loro pochi averi. Tra poco ripartiranno, verranno trasferiti nei campi di accoglienza, Non è ancora finita per loro, sarà dura, durissima. Ma nel primo round, quello tra la vita e la morte, l’ha spuntata la vita.

  

          

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