A Genova con la Croce Rossa in cerca di normalità. Il Centro Sturla ospita i piccoli pazienti del Gaslini

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di Laura BastianettoCiccio corre da una parte all’altra del villino di via Sturla a Genova. Ride, chiacchiera, ma appena nel corridoio si spegne la luce, si spaventa e viene a chiedere la mano dell’operatore per tornare nella sua stanza. È  uno dei bimbi ospitati nel Centro della Croce Rossa di Genova, nato nel ’79 per accogliere i bambini che devono essere ricoverati  o curati in regime di day hospital all’Istituto Giannina Gaslini. Poi c’è Greter, una bimba vivace e bellissima che a un certo punto, all’età di 6 anni, ha cominciato a dimagrire. Dapprima si è data la colpa ai parassiti nell’acqua e nell’aria di Cuba. Perché Greter è arrivata in Italia direttamente dall’isola caraibica, portando con sé una valigia e una “pallina” nell’addome. Che non è un gioco, né qualcosa da accostare al corpo di una bambina, ma una massa tumorale, causata da un neuroblastoma. A farle visita, l’estate scorsa, è venuta anche la figlia di Che Guevara, Aleida. A oggi i minori ospitati nel centro Sturla sono 42, di cui 14 italiani e 28 stranieri. Si tratta di piccoli pazienti emato-oncologici seguiti in day hospital con i loro genitori, bambini in attesa di trapianto e di donatore e piccoli pazienti con particolari presidi ortopedici. Tutti in cura al Gaslini, che è un centro di eccellenza, ma che ha anche la fortuna di avere quel supporto logistico e di accoglienza della Croce Rossa. Proprio perché spesso al dolore e al disagio familiare per la malattia, si associano difficoltà economiche e ambientali. Spesso i genitori, per stare al fianco dei propri figli, devono richiedere un’aspettativa non retribuita o a volte vengono licenziati per il prolungato allontanamento dal lavoro. È in questa situazione che il centro Sturla diventa fondamentale. Perché con le sue 20 stanze con bagno, tv, sale giochi, giardini attrezzati, cucine, lavanderie e stireria, può sopperire a quelle carenze di ‘normalità’, garantendo un ambiente protetto e sano in cui recuperare quel minimo di quotidianità. E lo si vede, entrando nella sala comune, dove ci sono alcune bambine che disegnano. O in cucina dove alcune mamme preparano la cena. Sono siciliane, pugliesi, albanesi e polacche. Vengono da ogni parte del mondo per dare a se stesse, ma soprattutto ai propri figli un pezzettino di speranza. Qualcuno a volte non ce la fa, nonostante abbia accettato la calvizie iniziale, i danni collaterali, la debolezza e l’assenza di una vita normale. E poi ci sono i cosiddetti momenti di transito, quelli in cui si può rinforzare la speranza perché magari c’è stata una risposta positiva al trattamento o quelli in cui invece si può acutizzare la sofferenza perché la risposta sperata non ha fatto neanche capolino. La paura di una ricaduta poi è sempre dietro l’angolo. Ecco perché diventano importanti le educatrici che si occupano dell’accudimento e delle attività di gioco. Così come sono fondamentali gli operatori CRI che garantiscono il funzionamento dell’intera struttura, adoperandosi per mettere a punto i piani d’intervento per ogni bambino che ha bisogno di cure e attenzioni diverse, di documenti nel caso in cui arrivino dall’estero e di finanziamenti per mandare avanti questa struttura.  “L’attività del Centro ha assunto nel tempo un’importanza sempre più rilevante-ha detto la responsabile della CRI Maria Anna Crudo-perché oggi possiamo considerare il servizio come un appoggio di rara efficacia per famiglie italiane e straniere che per gravi motivi di salute necessitano di un aiuto concreto in un momento così drammatico delle loro vite”.

  

  

          

Categorie: News

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