“Una notte speciale”
“Era passata da poco la mezzanotte e quella che sembrava essere una tranquilla e mite notte di ottobre si è subito trasformata in una nottata che non dimenticherò mai”
Mi chiamo Somi e sono di Modena. La mia esperienza in Croce Rossa è iniziata nel 2012 quando, finiti gli esami e prossimo alla laurea, decisi che era giunto il momento di dedicare parte del mio tempo agli altri.Così, dopo il corso d’accesso, iniziai a svolgere i primi turni, dall’assistenza ai senza fissa dimora distribuendo coperte e tè caldo al sostegno alle famiglie indigenti che a fatica riuscivano ad arrivare alla fine del mese. Le esperienze che mi hanno segnato sono molte, ma il terremoto dell’Emilia nel 2012 e l’alluvione del 2013 sono state senza dubbio quelle che mi hanno fatto riflettere di più su quello che davvero potevo fare per gli altri. Vedere così tanta gente, noi volontari compresi, in difficoltà, spaventati, senza più una casa, un lavoro o i propri cari, mi ha portato a scegliere di intraprendere il corso della CRI per diventare soccorritore in ambulanza. Il corso è stato tosto, ti forma tantissimo, ma ti insegna anche a controllare le tue emozioni, ad aiutare come puoi le persone a cui vai a prestare soccorso. Qualche volta ti senti anche inadatto al tuo ruolo, o pensi di non aver fatto abbastanza.Cerchi comunque di fare del tuo meglio, sempre. Era una tranquilla nottata, una serata particolarmente mite per essere ottobre. Era da poco iniziato il turno notturno: check dell’ambulanza fatto, tutti gli zaini ed il materiale riforniti.Di colpo il display del computer di bordo segnala l’arrivo di un servizio. Nemmeno il tempo di leggere le specifiche fornite dalla centrale – “Emergenza Pediatrica, neonato di soli 6 giorni di vita che fatica a respirare”- che io e il mio collega eravamo già per strada a sirene spiegate. Quando ti capita di leggere una cosa del genere inizi a farti molte domande, a chiederti se sei davvero all’altezza della situazione e pensare tra te e te “aiuto”. Nemmeno due minuti dopo eravamo davanti l’abitazione dove il padre, visibilmente scosso, ci urlava dalla finestra di salire al secondo piano. Prendo al volo lo zaino con il kit pediatrico e subito ci precipitiamo su per le scale. Sul pianerottolo trovo la madre singhiozzante con il bambino in braccio che ripeteva con un filo di voce “non respira, non respira”. “Cavolo, è davvero minuscolo”, penso tra me e me. Lo prendo in braccio: non è più grande delle mie mani. Il piccolo respirava appena per colpa di un rigurgito di latte. È bastato uno sguardo con il mio collega e subito, con poche e semplici manovre, il bimbo è tornato a respirare con un pianto liberatorio. Una sensazione indescrivibile. La consapevolezza di aver salvato una vita. Sapere dentro di sé che si è fatta veramente la differenza. La gioia più grande di quella notte è stato l’immenso grazie dei genitori…e non c’è niente di più bello che ricevere un grazie da coloro che aiuti.