Benvenuti a nord est, frontiera d’Europa che parla pashtu e urdu

di Laura Bastianetto – Possono essere due le reazioni alla paura: nascondersi o scappare. Da un terremoto e da una guerra si scappa più o meno per la stessa ragione: evitare di morire sotto le “macerie”, con una differenza. Di fronte alle prime si resta inermi, ma le seconde dovrebbero essere fermate. Qui, tra le montagne col chino bianco, residuo della scarsa neve fioccata durante l’inverno, a distanza di 40 anni convivono entrambe le categorie di persone che sono fuggite.

“Le persone qui continuano a sperare”. Da Idomeni la testimonianza di un medico volontario della Croce Rossa Italiana

di Laura Bastianetto – L’Europa ha due facce. Quella che aiuta, assicura cure mediche e fa divertire i bambini con giochi e la presenza di clown. E poi c’è l’altra, quella che costruisce barriere. In mezzo ci sono loro, i migranti che sono scappati dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan e che, a distanza di due mesi ormai dal sorgere delle prime tende nel campo spontaneo di Idomeni, non chiedono più di andare in Germania, Svezia o in Inghilterra. “Non importa dove, basta che non ci sia la guerra”. Così molti di loro raccontano a Valerio Mogini, medico volontario CRI, che sta offrendo il suo servizio ai migranti nel campo di Idomeni insieme con due Infermiere Volontarie e la Croce Rossa ellenica. “Le persone qui sperano –racconta Valerio- e non si sono ancora perse d’animo. Quello che hanno vissuto prima di arrivare nel campo è sicuramente peggiore di questa situazione. Ecco perché resistono e chiedono di entrare in Europa”. Il ‘peggiore’ è ben visibile sui loro corpi che portano spesso i segni di ferite da guerra.