Sbarchi e assistenza quotidiana ai migranti. A Catania l'incarnazione del Principio di Umanità

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Foto Laura Bastianetto

di Laura BastianettoAlle quattro del pomeriggio quando la nave Dattilo della Guardia Costiera con a bordo 347 persone si avvicina al molo di Catania, il sole è ancora alto e brucia. Da sotto, dove la Croce Rossa ha allestito i gazebo per le cure mediche e la distribuzione di acqua, cibo e scarpe, si cominciano a scorgere i primi volti. Già si conosce la provenienza dei migranti a bordo (Eritrea, Etiopia, Gambia, Ghana, Senegal, Costa D’Avorio), si sa che ci sono anche 5 bambini sulla nave e diverse donne incinte. Sorridono quasi tutti perché sono salvi. Non era stato così il 20 aprile scorso quando sempre a Catania arrivarono i sopravvissuti al naufragio che ha scosso un po’ la coscienza dell’Europa. Quella notte scesero dalla nave uomini sconvolti e sotto shock. Salvi certo, ma per sempre traumatizzati. Donne e bambini sono i primi a scendere sul molo. Incontrano per primi i volontari e gli operatori della Croce Rossa. Ringraziano per l’accoglienza e in maniera educata e civile, nonostante la stanchezza per il lungo viaggio, continuano a mettersi in fila, prima per le visite mediche, poi per l’identificazione da parte della Polizia. Una procedura che durerà fino alle dieci della sera. Abdullahi è in fila come tutti gli altri. Indossa una maglia della Roma e parla italiano. “Vengo dal Ghana, ma lavoravo da diversi anni in Libia fino al momento in cui sono stato costretto a partire”. Mi racconta che era un muratore, che ha frequentato diversi italiani lì ma “a Tripoli ormai non si può più restare”. Mi parla di violenza, di uomini e donne uccisi. Gli fanno eco gli altri ragazzi dietro di lui che ascoltano la conversazione nel frattempo trasformatasi in inglese. “Io sono cristiano-mi dice il ragazzo dietro Abdullahi, e lì ti tagliano la gola anche solo per il tuo credo religioso”. In mano hanno i calzini appena offerti dalla Croce Rossa. C’è chi li indossa immediatamente e chi continua a camminare a piedi scalzi perché non sa nemmeno a cosa servano quelle due strisce di cotone colorato. Le donne incinte vengono immediatamente accompagnate con le ambulanze in ospedale. Hanno bisogno di un controllo più accurato dopo aver affrontato un viaggio così lungo e in condizioni precarie. Tutti gli altri stanno abbastanza bene. A bordo c’era qualche caso di scabbia che però con un trattamento specifico e repentino è già sotto controllo. Stefano (il carismatico Presidente), Silvia, Santa, Mamadou, Enza, Simona, Carmelo e tanti altri sono il motore di ogni sbarco a Catania. Da un anno e mezzo ininterrottamente ormai si preparano con cura nell’attesa di un nuovo arrivo. Tutto è organizzato e gestito nel migliore dei modi, senza che nessuno si fermi mai un attimo a pensare che forse con quel sole avrebbe potuto decidere di andare in spiaggia. Ragazze e ragazzi che hanno deciso di dedicarsi agli altri, ogni giorno e ogni notte e sempre con un gran sorriso stampato sulla bocca. Chi si occupa delle visite mediche. Chi della distribuzione di acqua e cibo. Chi del servizio di RFL. Chi di accompagnare in ospedale con l’ambulanza le persone che hanno bisogno di maggiori cure. Alle undici della sera quando ormai il sole è tramontato già da qualche ora e l’escursione termica comincia a far sentire un po’ di fresco, la giornata non è ancora finita. Nel Cara di Mineo un’altra squadra CRI aspetta i nuovi arrivi. La Croce Rossa, che non gestisce il centro, ha però lì dentro un piccolo ambulatorio dove ogni giorno riceve circa 120 persone che hanno richiesto asilo in Italia. I migranti vanno lì per un controllo semplice, per un dolore ai denti, per un’influenza o anche solo per parlare. “Spesso loro non hanno problemi di salute, -racconta Serena, una delle dottoresse dell’ambulatorio della Croce Rossa- succede che vengano qui anche solo per scambiare due chiacchiere. Spesso si tratta di persone che hanno perso i loro cari e hanno bisogno di attenzioni, di sapere che c’è sempre qualcuno disponibile e vogliono approvazione per qualsiasi cosa stiano per fare. Quando arrivano qui sono molto stanchi e vogliono solo avere un po’ di acqua, cibo e vestiti. Diamo anche quelli qui, non lavoriamo solo nelle emergenze. Uno dei nostri principi è Umanità. Ecco perché se non ci fosse Croce Rossa, sarebbe un bel problema”. La dottoressa Serena ha stampati nella mente tutti quei volti e quei nomi che incontra ogni giorno nell’ambulatorio. “Non posso dimenticare la prima donna somala che ho incontrato appena arrivata qui. Quando mi ha visto, ha cominciato a piangere. In Libia aveva subìto le peggiori violenze. È dura ma questo è il lavoro che amo perché ho la possibilità di entrare in contatto con ognuno di loro, di rendermi utile e di fare tutto ciò che posso per dar loro almeno un po’ di sollievo. Se potessi non smetterei mai di lavorare qui. Certo la vita privata ne risente ed è un po’ messa da parte, quando torno a casa continuo a pensare alle storie che ho incontrato nel centro, ma paradossalmente è proprio tutto questo che mi dà ancora più la forza”. Mentre parla, Serena tiene in braccio uno dei bimbi di una donna eritrea nel campo ormai già da diversi mesi. I piccoli sono i pazienti di Mario, medico pediatra presente e affettuoso con i ‘suoi’ bambini. “Qualche anno fa, con la Primavera araba, ero in procinto di partire per l’Africa per andare ad aiutare lì dove c’era bisogno, ma poi l’Africa è venuta da me. La Croce Rossa mi ha chiamato e io ho deciso di restare”. Intanto fuori dall’ambulatorio si è formata la coda. Mentre le 5 infermiere volontarie e i due dottori presenti cercano di curare ogni caso, si espande nell’aria il suono di un flauto. “E’ Flautino!”-dice Angelo, l’operatore della CRI responsabile dell’organizzazione e del coordinamento delle squadre. “Viene dal Pakistan e se ne va in giro con questo flauto che gli ha regalato Simona (la direttrice sanitaria dell’ambulatorio). Angelo è conosciuto da tutti qui a Mineo. Si muove nel centro e nell’ambulatorio con estrema familiarità “Praticamente sono sempre qui” ed è tessitore di una lunga tela immaginaria tra il dentro e il fuori del campo, impegnato ad accontentare tutti e a prenotare le visite specialistiche, organizzando i trasporti e i ricoveri per i casi gravi.     Eccoli qui tutti i volti che non vediamo mai. Quelli che lavorano in silenzio, dietro le quinte e soprattutto a riflettori spenti. Quelli che hanno deciso di mettere le proprie vite al servizio di altri. Quelli che in tutta Italia, da Augusta a La Spezia, perché Catania è solo un esempio, rappresentano l’incarnazione del principio di Umanità.  

  

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