A 65 anni dalla tragedia di Marcinelle, ancora troppo spesso si continua a morire di lavoro. E la cronaca lo attesta. Vale la pena di fermarsi a riflettere, in questo 8 agosto, “Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”, istituita proprio in memoria di Marcinelle e in ricordo di tutti i connazionali caduti sul lavoro in Italia e all’estero. Perché la storia rischia di ripetersi.
L’8 agosto del 1956 il mondo assistette a una delle più grandi tragedie sul lavoro della storia. In una miniera in Belgio, a Marcinelle vicino Charleroi, dove tanti andavano a “cercar fortuna”, un incendio provocò la morte di 262 minatori, dei quali 136 di nazionalità italiana.
L’accordo politico con l’Italia
Fu un accordo politico del 1948, siglato dai governi di Roma e Bruxelles, a portare decine di migliaia di italiani spinti dalla fame a lavorare nei pericolosi cunicoli delle miniere del Belgio. Braccia umane in cambio di carbone. Il Belgio si trovava in quegli anni, infatti, in una situazione opposta a quella dell’Italia, stremata da una guerra perduta. Aveva molte risorse e poca mano d’opera disponibile.
Le condizioni di vita
I minatori venivano trattati più o meno come prigionieri di guerra. Si erano sentiti spesso chiamare “musi neri” o “sporchi maccaroni”, nel caso degli italiani. Siamo nel 1956, ma le condizioni di vita riportano al periodo bellico: le baracche dove alloggiavano erano state utilizzate prima come lager dai nazisti e poi come campo di prigionia per gli stessi tedeschi. Il contratto prevedeva un periodo minimo di un anno di lavoro, pena l’arresto. Per 8 anni e fino al giorno della tragedia, i minatori lavorarono giorno e notte in cunicoli alti appena 50 centimetri a più di 1000 metri dentro le viscere della terra, spesso vittime di esplosioni o di malattie gravi come la silicosi.
L’incidente
Nel pozzo n.1 della miniera, un impianto obsoleto del 1930, si verificò un incidente a un ascensore. Si trattò di un grave errore umano che innescò immediatamente l’incendio che invase le gallerie puntellate con travi di legno e prive di sistemi di sicurezza efficaci. La squadra di soccorso più vicina distava 1,5 km dall’impianto. Non fu nemmeno fermato il pozzo di aerazione, fatto che contribuirà ad alimentare l’incendio ed i gas letali da questo sprigionati. Le fiamme furono domate solo 24 ore dopo. I superstiti, soltanto 13.
“Sono tutti morti”
“Sono tutti morti” era l’agghiacciante titolo dei quotidiani dell’epoca. Gli ultimi corpi furono recuperati soltanto il 22 marzo del 1957, mentre iniziava l’inchiesta sulle responsabilità: nessuna tra le vittime ebbe giustizia né furono risarcite le famiglie. In questa orrenda vicenda, come troppo stesso accade anche oggi, il profitto fu anteposto al valore dell’Umanità.
Lo ha scritto il Presidente della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca, sul sito www.francescorocca.eu