L'emergenza freddo e l'impegno della Croce Rossa Italiana per i senzatetto. Frammenti di vita da Sala Palasciano
Emergenza neve:Sala Palasciano allestita per l’accoglienza notturna con cinquanta letti pronti
Così è iniziata l’emergenza freddo.Una forte nevicata – per gli standard della Capitale – un gruppo di Volontari di Croce Rossa, uniti, pronti a mettere a frutto ciscuno le proprie capacità, una missione. Infermiere Volontarie, Corpo Militare, Volontari del Soccorso, Pionieri, Comitato Femminile e Donatori Sangue si sono avvicendati, giorno dopo giorno, lavorando fianco a fianco, e sfidando lo stesso gelo e la stessa neve che hanno paralizzato Roma, causato la chiusura di scuole e uffici pubblici.Con la logistica, si è strutturata una attività, si sono perfezionati i tempi, la gestione, l’assistenza. Si sono trovate le risorse, soprattutto quelle del “voler fare”, per rispondere alle richieste degli ospiti. Calze, scarpe, maglioni pesanti, giacche,… ma anche qualcuno che ascolti una storia – la propria – un posto dove tornare.Al freddo fuori si risponde con il calore dell’accoglienza ed il tempo assume i ritmi confortanti di una sconosciuta quotidianità: l’ora dell’ingresso, l’ora della cena, l’ora delle medicazioni, delle chiacchiere, della sigaretta, delle luci che si abbassano sulle loro storie racchiuse in fagotti logori, sulle mani gonfie, sulle scarpe bagnate e bucate, sugli occhi che sembrano dire molto di più, sulle speranze tradite, sulla rabbia affogata nell’alcool,… sui sogni degli ottanta ospiti.Alle 19.00, con l’inizio della sera e l’apertura di via Toscana ai senzatetto, a noi sembra di lasciare il mondo della normale quotidianità – con le chiacchere in tv, le cose da fare che opprimono, la fatica del lavoro e, l’ultimo locale da provare con gli amici, … – per entrare in un altro mondo, molto lontano e diverso.Se le parole che ascoltiamo ci toccano, ancora di più – talvolta – lo fanno i silenzi. Il silenzio di chi non ha niente da dire, di chi si è rassegnato, di chi non chiede più nulla forse per paura di perdere quel poco – pochissimo – che possiede. Il mio amico d’oltremare non ha bisogno di toccare per colpire una persona. Bastano i suoi occhi verdi caricati e puntati addosso. Parla a raffica ed è difficile seguire il groviglio dei suoi pensieri. Racchiude silenzi infiniti e una tristezza di chi si sente a capolinea. È tradito, ferito, deluso, uno straniero, un rifugiato, ma senza il conforto del “rifugio”. Mi chiama “tenente”, più per la nostalgia di un ricordo, che per altro.
Emergenza neve: Sala Palasciano, una Infemiera Volontaria medica un ospite assistita da un Pioniere
Sono seduta affianco a lui, intorno a noi molte persone: chi chiede ancora da mangiare, chi parla, chi sta e basta, forse ascolta, forse è con la mente altrove.- Che tristezza! – mi dice- Che cosa? — Essere soli domenica sera…- Soli?… guarda quante persone ci sono intorno a te, davanti, e di fianco… – gli faccio notare, con un sorriso- Ma lo sai che ci si può sentire soli anche in mezzo a tante persone?Aveva ragione. In Sala Palasciano, solitudini provenienti dai mondi più diversi e lontani, l’una affianco all’altra e la Croce Rossa per dare un letto, un pasto caldo, per fare una medicazione, ma soprattutto per offrire il conforto di una normalità perduta e qualcuno con cui parlare, a cui raccontarsi.Franco, italiano di Roma, da dieci anni per strada, con un filo di voce dice “Non so come farò quando chiuderete qui”. Questo pensiero coinvolge anche noi volontari che, da più di dieci giorni, condividiamo le nostre notti con la strana comunità di Sala Palasciano. Ottanta persone, in media, da Bulgaria, Romania, Albania, Filippine, Germania, Marocco, Tunisia, Ghana, Bangladesh, Libano,… qualche connazionale e, persino, un americano, David. Ottanta racconti di disagi, privazioni, distanze. Tra loro, alcuni ritornano ogni sera, da quel 3 febbraio in cui abbiamo aperto le porte della nostra sede nazionale, puntuali e fedeli. C’è chi ha trovato un lavoretto, c’è chi semplicemente vaga alla ricerca o, forse, in fuga dai propri incubi, c’è chi è meglio non sapere come trascorra il tempo, c’è anche chi aspetta solo che le porte di via Toscana riaprano, sfogliando il giorno, in attesa, sulla soglia.Storia di Claudio, di Paolo, di Franco, di Monnalisa, di Ulisse, di Mouna, di Lolito,… storia del Signor Antonio, divenuto simbolo del servizio da quando, una notte, la seconda di neve e di gelo, lo abbiamo trovato a Piazza Venezia. Lo ha avvistato una Sorella, mentre il nostro pulmino – quasi l’unico mezzo in circolazione – si faceva strada nella nevicata. Cercavamo di avvistare quei mucchietti di neve ai bordi delle strade, sotto le quali si nascondevano persone…
Emergenza neve: Sala Palasciano, ancora una medicazione.Molte le lesioni da freddo agli arti riscontrate durante l’opera di assistenza
Antonio l’abbiamo trovato infreddolito e spaventato. Alcuni ragazzi, disse, gli avevano strappato la coperta e l’avevano fatto alzare bruscamente. “Io stavo dormendo”, ripeteva. Classe ’32, di Lecce, quasi completamente sordo, parla con un filo di voce. Il signor Antonio è mite, gentile, lascia sempre il letto in perfetto ordine, non chiede mai nulla, e si affida a noi come un bambino smarrito, finalmente a casa.Non riesce a raggiungere via Toscana perché non ricorda la strada. Ogni notte, le nostre squadre lo hanno cercato per permettergli di dormire al caldo. Ormai, il signor Antonio, ci aspetta. Seduto al margine della strada e della vita frenetica dei passanti distratti. Il suo sorriso, quando arriviamo, quando ci riconosce, è uno dei regali più belli. Antonio potrebbe essere nostro nonno, nostro padre, nostro fratello.Ed in questo modo ho visto lavorare i colleghi: un prendersi cura, con dolcezza e fermezza, di chi potrebbe essere un proprio caro.Non sono mancati gli insulti, le minacce e i malumori… così come non è mancato il freddo e la stanchezza di lunghe notti di veglia. È stata più forte la voglia di esserci, per dare quel poco che si poteva, per ascoltare quelle storie arrivate un po’ da tutto il mondo fino in Sala Palasciano, per aiutare Antonio a mettersi a letto.Così, in questo servizio iniziato per rispondere all’ “emergenza freddo”, confluiscono anche le storie dei volontari che si sono dati il cambio – notte dopo notte – come in una grande staffetta di solidarietà. In una città paralizzata, con strade ghiacciate, uffici pubblici chiusi,… i volontari, provenienti da ogni parte di Roma, non si sono fermati. E, proprio come in una staffetta, lo spirito di squadra che si è creato è stato cuore e motore dell’attività, così come i sette principi – umanità, neutralità, imparzialità, indipendenza, unità, universalità, volontariato – un agire concreto.Non solo. In questo ricordo dei giorni del freddo romano, non deve essere dimenticata la solidarietà dei cittadini che hanno voluto supportare l’attività di Croce Rossa: colleghi d’ufficio che hanno organizzato delle raccolte di abiti usati; segnalazioni di senzatetto in difficoltà e, persino, chi con la propria auto ne ha accompagnato uno.Termina l’emergenza freddo, si smantellano i letti in Sala Palasciano, il corridoio di via Toscana riprende l’assetto della vita di tutti i giorni.Resta una accresciuta sensibilità nei confronti di chi siamo abituati a non vedere e della vita in generale. Resta un prezioso bagaglio di esperienza fatta di rapporti umani, crudi, intensi, veri. Resta il legame tra i membri di una grande squadra allargata, che ha mescolato un po’ della sua vita con quella di ospiti e colleghi. Resta il ricordo di Antonio di cui, sono sicura, non ci dimenticheremo.S.lla Anna La Rosa