“La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. È questa l’eredità di Paolo Borsellino, ed è con questo pensiero che sintetizza la sua battaglia contro la criminalità organizzata e il desiderio di restituire libertà e Dignità alle persone oppresse dalle mafie, che ricordiamo oggi, a 33 anni di distanza, il giorno in cui lui e cinque agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, vennero uccisi in un attentato a Palermo, in via D’Amelio”. Così il Presidente della Croce Rossa Italiana, Rosario Valastro, in memoria della strage mafiosa del 19 luglio 1992.
“A quei tempi ero uno dei tanti ragazzi della Sicilia. La notizia di quell’esplosione, la morte di Borsellino, avvenuta 57 giorni dopo la strage di Capaci, mi colpì incredibilmente, così come segnò l’Italia intera. L’attentato, al pari di quello in cui era rimasto ucciso Falcone, rese l’intero Paese consapevole che la lotta contro le mafie era un imperativo morale e che sarebbe dovuta continuare proprio grazie all’esempio e al sacrificio di questi due uomini. Nei loro cuori il coraggio di non voltarsi dall’altra parte davanti allo strapotere mafioso; il desiderio e la consapevolezza di lottare ogni giorno affinché la distanza sociale, l’illegalità e la paura non potessero vincere; la missione di contrapporre alla violenza e alla sopraffazione la cultura della Dignità umana e del rispetto”, ha concluso Valastro.
