Il racconto esclusivo della figlia di Giorgio Rossaro, uno delle migliaia di “desaparecidos” del Confine Orientale d’Italia: “Mio padre, un uomo della Croce Rossa che nulla c’entrava con la politica, svanì nel nulla”

“Nel corso del 2021 – spiega Ariella Testa, Presidente del Comitato CRI di Gorizia – celebreremo i 100 anni di attività del nostro Comitato: il programma prevede la pubblicazione di un libro, un annullo filatelico e altre iniziative, condizionate purtroppo dall’evoluzione della pandemia. Un secolare impegno in favore dei più vulnerabili, che si è sempre intrecciato con la Grande Storia. La tradizione umanitaria del nostro territorio, tuttavia, ha radici ancora più antiche. Durante le complicate ricerche sull’inizio delle attività della CRI a Gorizia – il periodo storico del secondo decennio del ’900 è certamente complesso a causa degli eventi della Grande Guerra e dall’essere terra di confine – abbiamo accertato, ad esempio, che a Gradisca già nel 1875 operava la Società di Soccorso della Croce Rossa delle signore di Gradisca e Gorizia. E così altre notizie sconosciute, ma molto interessanti, potranno arricchire il nostro libro. Stiamo studiando varie vicende, dimenticate o cancellate, anche per raggiungere il 2025 – anno in cui Gorizia e Nova Gorica saranno Capitali Europee della Cultura – con un corposo ricordo e una ricostruzione del nostro importante patrimonio storico. Come terra di confine – e con un confine che è uno dei più dinamici della penisola (prof. Valussi) – abbiamo da sempre avuto tante occasioni di scambio e comprendiamo quanto siano stati difficili i rapporti transfrontalieri. 

Abbiamo vissuto il dramma del Confine Orientale d’Italia nel secondo dopoguerra, l’occupazione titina, le sparizioni, gli inevitabili e ancora non storicamente dipanati drammi che hanno coinvolto la maggior parte della popolazione. Ogni famiglia può raccontare episodi strazianti: la precisa memoria storica dei nostri avi si sta perdendo, ma le loro storie sono impresse nelle nostre menti. A distanza di tanti anni desideriamo conoscere il vissuto delle nostre Crocerossine, del nostro personale, e vorremmo ritrovare testimonianze per ricostruire questa storia cancellata. Il periodo difficile del Ventennio, l’esodo, la ricostruzione. Meditiamo un libro dedicato a queste varie realtà, diverso da quello del Centenario, che non può essere un’analisi precisa di molte vicende nelle quali la Croce Rossa è stata drammaticamente coinvolta. La vita di Giorgia Luzzatto Guerrini, Volontaria per molti anni ed ex Presidente della Sezione Femminile di Gorizia, è emblematica in tal senso”.

La testimonianza di Giorgia Rossaro

“Giorgio Rossaro era mio padre. Il cognome è trentino – racconta la signora Rossaro – e non molto diffuso da queste parti. Nacque il 12 marzo 1892, da padre trentino e madre triestina. Laureato a Graz in medicina, una facoltà piena di italiani, prestò servizio sul fronte austro-russo durante la Prima guerra mondiale, in Galizia (polacca). La mamma, polacca classe 1893, era crocerossina, due volte decorata. I miei genitori si conobbero proprio lì. Lei studiava Medicina e decise di andare all’ospedale di Leopoli a prestare servizio, nonostante l’opposizione della famiglia. Collaborava con il direttore, un istriano, il famoso professor Labor, ebreo convertito al cristianesimo. Papà lavorava lì come medico e scattò la scintilla. In Italia, finita la guerra si trasferirono a Lentigione di Brescello dove papà riprese a fare il medico condotto. Vi rimasero per un decennio ed io conservo molti ricordi infantili di quei luoghi di campagna, semplici e diversi dagli ambienti che frequentai poi. Le tensioni politiche negli anni ’20 arrivarono anche lì. Ma papà era un dottore e ricordo che curava sia i comunisti che i fascisti dopo gli scontri che scoppiavano a ogni pie’ sospinto. Non aveva mai pensato ad altro che alla sua missione. Nel 1928, purtroppo, ci colpì una grande disgrazia: il mio fratello maggiore, che era stato mandato a studiare a Rovereto, si ammalò di osteomielite. Il 2 febbraio del 1929 morì. Dopo il lutto, la mamma non fu più la stessa e papà, anche per farle cambiare aria, decise di andare a Gorizia avendo, nel frattempo, vinto il concorso di Ufficiale Sanitario.

“Per me fu un cambiamento bellissimo ho sempre amato questa citta. Ogni anno papà scriveva e pubblicava di igiene e profilassi, campo in cui si era specializzato presso l’università di Parma ed era anche rimasto in contatto con l’igienista professor Luigi Piras di Genova. Inoltre pubblicava relazioni annuali in campo medico depositate presso la biblioteca governativa di Gorizia. Rammento che scoprì anche un focolaio di malaria nella vicina Val di Rose, oggi Slovenia. Era un uomo molto piacevole oltre che un validissimo professionista. Fece un corso, divenne ufficiale italiano e passò in forza al 15° Centro di Mobilitazione della Croce Rossa Italiana. Nel 1940 l’Italia entrava in guerra e nel luglio del 1941 il Montenegro dichiarava la sua indipendenza. Il 3 ottobre 1941 diveniva poi un governatorato alle dipendenze del Ministero degli Esteri italiano. La regina Elena, di origine montenegrina, creò ospedali da campo per la popolazione civile del suo paese. Mio padre fu mandato, come medico della Croce Rossa Italiana a Niksic. Lo rivedemmo nel 1943 quando venne mandato a Gorizia per un periodo di contumacia. La famiglia era riunita. Il 25 luglio cadde il fascismo e l’8 settembre ci fu l’armistizio. I tedeschi occuparono subito Gorizia che fu integrata nella Germania nazista come litorale adriatico Adriatiscke Kunstenland. Tutti dovevano lavorare, io stessa prestai servizio come crocerossina in un ospedale di bambini predisposti alla tubercolosi. Nel novembre del 1943 i tedeschi deportarono gli ebrei da Gorizia. Papà continuo a esercitare la sua professione, sempre alle dipendenze del 15 Centro CRI di Udine.

“Nel 1945 ci sono avvenimenti straordinari che preludono a breve la fine della guerra. Il 12 aprile 1945 muore in America il vincitore Roosevelt e nello stesso giorno Stalin e il maresciallo Tito si legano con un patto. Stalin decide di occupare Berlino e Vienna, Tito con l’appoggio dei comunisti italiani occuperà il Friuli Venezia Giulia.

“Si decide così la nostra storia. Arrivarono a Gorizia i partigiani di Tito con infiltrati russi. Infatti già l’anno precedente, il 9 settembre del 1944, i soldati russi si erano uniti alle truppe di Tito. Intanto in Italia si festeggiava la liberazione e la fine della guerra mentre a Gorizia iniziava il terrore comunista. In città un manifesto con la stella rossa ordinava il coprifuoco e l’obbligo di tenere i portoni di casa aperti. Il manifesto era firmato in basso a sinistra dal comandante della città e a destra dal commissario politico, il giovane goriziano Cuk.

“Il 3 maggio 1945 iniziarono le deportazioni. Sentivamo le grida nelle case vicine. Ricordo di un vicino, ex legionario fiumano, sparito nel nulla. Poi toccò a noi: alle 7.30 del mattino del 4 maggio mi alzai e papà era ancora a letto. Arrivò un soldatino che avrà avuto la mia età, gli offrii il tè mentre mio padre si vestiva, con la divisa della Croce Rossa Italiana. Quello mi chiese in sloveno se avessi paura. Io risposi: “E perché? La guerra è finita”. Me lo portò via, il mio amato papà, che prima di farsi condurre fuori lasciò in cucina tutti i soldi in contanti: questo ci fece preoccupare e… capire. Il giorno 5 venimmo a sapere che si trovava nelle carceri di Gorizia, al secondo piano. Io e mia sorella, allora quattordicenne, andammo su una terrazza di una conoscente e riuscimmo a vederlo. Ci sorrise, aveva una gavetta in mano e il bracciale della Croce Rossa sulla casacca. Nella notte quei prigionieri sparirono tutti. Scoprimmo poi che erano stati portati a Lubiana e che per quattro mesi papà era rimasto in vita, secondo le notizie forniteci da un certo Bratus di Gorizia che lo aveva intercettato nel carcere di Lubiana nel settembre del ’45. Dopo di che se ne perdono per sempre le tracce. Credo che li abbiano fucilati e poi, forse, infoibati. Mio padre, un uomo della Croce Rossa che nulla c’entrava con la politica, svanì nel nulla. Non abbiamo mai avuto una parola di conforto dallo Stato. L’Italia ha completamente dimenticato, senza vergogna. Scomparire nel nulla è peggio della morte. Abbiamo costruito un cenotafio per ricordare queste vittime. Mio padre è stato l’unico ufficiale medico della Croce Rossa a fare quella fine. Eppure, anche per noi, la guerra era finita.

“Nel frattempo giungevano a Gorizia i neozelandesi che non presero atto della nostra situazione. Solo con l’arrivo del governo militare alleato potemmo far presente della drammatica realtà. Gorizia rimase italiana per la volontà di tutti i suoi cittadini che in ogni modo con oceaniche dimostrazioni e bandiere italiane dimostravano la loro identità”.

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