Maurizio Muglia, medico CRI a Cox’s Bazar: “Ogni giorno le persone lottano per sopravvivere”
“La giornata tipica qui a Cox’s Bazar? Come in tutti i campi profughi del mondo, le persone trascorrono il tempo a sopravvivere. Acqua, cibo, cure, conforto: hanno bisogno di tutto”. Maurizio Muglia è un medico. Inviato dalla Croce Rossa Italiana nell’area di Cox’s Bazar e raggiunto da qualche giorno dalla Dott.ssa Carolina Casini e dall’Infermiera Anna Matteoni, è arrivato in Bangladesh il 20 ottobre scorso. L’emergenza umanitaria che si sta consumando nella zona è tra le più gravi degli ultimi anni: le migliaia di persone che dal Myanmar si sono messe in viaggio e hanno attraversato il confine, vivono private di ogni cosa, in condizioni drammatiche.
Sono tante le persone che hanno bisogno di cure ma la cosa che cercano di più è il contatto umano. Anche durante le visite, è fondamentale stabilire con loro una connessione: molte volte, la loro è più che altro necessità di sentirsi capiti, accuditi, confortati. Nel momento in cui ricevono dalle nostre mani delle semplici bustine di sali per combattere la disidratazione, le prendono come se stessero accettando un bellissimo dono.
Dott. Maurizio Muglia – Medico CRI
Sono tantissime le persone che, ogni giorno, si recano dal Dott. Muglia per ricorrere alle sue cure: “Nei giorni di pioggia, quando è praticamente impossibile camminare per via del fango, visitiamo circa 90 persone. Un numero che raddoppia se il meteo è più clemente”.Nei campi profughi di Cox’s Bazar ci sono tantissimi bambini: “Spesso mi fermo a giocare con loro. All’inizio mi guardano apprensivi, non riconoscono la mia etnia e il mio linguaggio. Mi esprimo a gesti, li saluto e immediatamente spalancano i loro occhi e mi sorridono”.Il Dott. Muglia ha una lunga esperienza di collaborazione con la Croce Rossa Italiana:
La mia avventura con la CRI è nata nel 1982 quando iniziammo a occuparci di prevenzione dell’epatite virale. Nel corso degli anni ho vissuto molte esperienze simili a quella in cui mi trovo oggi: penso al Ruanda, alla Somalia, all’Eritrea e anche alle mie due missioni nello stesso Bangladesh nel 1985 e nel 1981. In ogni posto dove sono stato ho vissuto le sensazioni che provo anche adesso: in qualche modo, sento che questa è la mia vera vita.Di episodi particolari ne ho vissuti molti, ogni essere vivente è un mondo di storie e di avvenimenti belli e brutti. Penso alla neonata che ho accudito, alla mamma il cui solo sguardo ti trafigge il cuore, alla bambina con un grave ascesso alla bocca che, nonostante il dolore mentre le pulivo la ferita, mi guardava senza un lamento. Quando la sera torno nel mio alloggio, bagnato di sudore dalla testa ai piedi, mi sento distrutto. Ma la mia stanchezza è più che ripagata da quello che vivo ogni giorno.
A Cox’s Bazar il legame umano e la condivisione di gioie e sofferenze con le persone che vivono il dramma della fuga sono tutto: “I bambini hanno imparato il mio nome, mi chiamano, mi salutano. Quando si avvicinano mi danno il ‘cinque’ come ho insegnato loro: non lo avevano mai fatto prima! Si divertono, ridono, mi offrono la loro mano e toccano l’emblema della Croce Rossa Italiana, che mi ha permesso di arrivare fino a qui”.