Migranti, nuovi sbarchi. La seconda parte del reportage realizzato dalla Croce Rossa Olandese sulle attività della CRI in Sicilia

migranti a catania
Aprile 2015 @IFRC

Anche oggi ci sono stati nuovi sbarchi di migranti sulle coste italiane e altri sono previsti per questa sera. Nel porto di Pozzallo, nel ragusano, in mattinata sono arrivati 369 migranti, soccorsi a nord  di Lampedusa, tra i quali ci sono anche tre donne in gravidanza. Ad Augusta è previsto per le 18 di oggi l’arrivo al porto di nave Chimera della Marina militare con a bordo 579 persone, salvate in due operazioni di soccorso. In Calabria, nel porto di Vibo Valentia, stasera giungerà la nave Dattilo della Marina Militare con a bordo 835 migranti di diversa nazionalità (615 uomini, 189 donne e 31 minori accompagnati). La Croce Rossa continua a garantire assistenza e accoglienza ai porti con centinaia di volontari e operatori del Reparto Regionale di Sanità Pubblica, con ambulanze, tende a montaggio rapido, automezzi per il trasporto di persone e materiale. Oggi pubblichiamo la seconda puntata del reportage sulle attività della CRI, realizzato dalla Croce Rossa Olandese e diffuso sul sito internet.“Mio padre mi ha costretto a fuggire. Lui non ce l’ha fatta”6 giugno 2015 #Migranti via mare – Merlijn Stoffels è andato in Sicilia per raccogliere i racconti dei migranti via mare. Ha incontrato il giovane maliano Moussa, che ci ha messo tre anni per raggiungere la Sicilia e che per tanto tempo si è sentito completamente solo al mondo.“Viaggiamo lungo le pendici del vulcano Etna. Poche nuvole circondano la cima e dal vulcano fuoriesce uno sbuffo di fumo. In mezzo a tanta bellezza della natura sorge il campo per i migranti. Si estende ai piedi di uno dei più antichi insediamenti urbani del paese, Mineo, fondato nel 459 a.C. Con mia grande sorpresa mi si para davanti un quartiere residenziale in stile americano. Vi vivevano i militari di stanza nella vicina base americana. Il quartiere è circondato da filo spinato e gli accessi sono sorvegliati da militari e veicoli blindati. Fuori dalla recinzione vedo aggirarsi alcuni migranti. Sembra che possano lasciare il campo solo di giorno. Il campo, ad un paio d’ore di viaggio da Catania, nella zona orientale dell’isola italiana, è uno dei più grandi campi profughi d’Europa. È stracolmo, raccontano i colleghi della Croce Rossa Italiana. Inizialmente vi alloggiavano circa 2.000 persone. Nei mesi scorsi il numero è salito a 4.000.File di pazienti davanti alla clinica della Croce RossaUna volta all’interno del recinto, il campo si presenta come un normale quartiere residenziale. Davanti ad alcune case sono stati tirati fili dove sono stesi panni. Sembra siano negozi di abbigliamento. In strada si vedono soprattutto africani, ma anche persone di chiara origine medio-orientale. Passiamo davanti a un parco giochi e un campo di calcio, dove impazza la partita giocata con grande fervore.Davanti alla clinica della Croce Rossa è parcheggiata un’ambulanza. C’è una lunga fila di pazienti in attesa davanti alla porta. In fila c’è un uomo con il volto completamente ustionato, un altro ha il piede ingessato e ci sono anche donne incinte in attesa di assistenza. La dottoressa della Croce Rossa ci viene subito incontro per darci il benvenuto non appena parcheggiamo l’auto. L’attività in clinica ha in ritmo serrato.Aiutare disinteressatamente in tempi difficiliC’è tantissimo da fare, racconta la dottoressa, ma il lavoro dà grandi soddisfazioni. Più tardi nel corso della giornata capirò perché. In ospedale parlo con una delle infermiere. Ha preso due settimane di ferie per poter venire qui in clinica ad aiutare. Ogni due settimane viene un altro gruppo. Non si guadagna niente con questo lavoro, ma tutti tornano comunque. Non ce la farebbe mai ad abbandonare questa gente. Incredibile, penso, l’altruismo di queste persone anche in periodi così difficili.In fuga da zone di conflittoIniziamo a parlare con il 22enne Moussa, fuggito dal Mali. La sua camicia sdrucita tradisce la miseria in cui versa. Ha il volto teso. La pelle coperta di cicatrici. Anche lo sguardo è cupo. Noto che è nervoso. Mi chiedo quale storia si nasconda dietro i suoi occhi e perché sia venuto in Europa. Inizia a raccontare del Mali, dove viveva con la famiglia, in piena zona di conflitto. La sua famiglia fu minacciata di morte e il padre lo costrinse a fuggire.Il terrore di annegareControvoglia, Moussa parte tutto solo. Il padre resta lì per provvedere alla famiglia. Durante il viaggio Moussa cerca di lavorare, ma non viene mai pagato. Spesso tinteggia case. Ma quando chiede la paga, viene minacciato di morte e deve fuggire ancora. Dopo mesi di cammino raggiunge la Libia. E lì, se possibile, gli va ancora peggio. Viene obbligato a sotterrare le armi dei guerriglieri sotto il sole cocente. Quando chiede del denaro, viene rinchiuso in prigione e torturato. Alla fine riesce a fuggire grazie a un amico che gli trova un posto su un gommone, per lasciare la Libia. E così, con un braccio rotto, sale su una piccola scialuppa stracolma di migranti. Non ha idea di dove stia andando e cosa lo aspetti. È la prima volta che si trova in mare ed ha il terrore di annegare. Dopo alcuni giorni senza acqua né cibo, vengono salvati da un mercantile tedesco. Quindi, dopo tre anni di fuga, mette piede in territorio europeo. Ma anche qui non trova subito la pace che cerca. Le lacrime gli solcano il viso quando racconta che il padre e la madre sono stati uccisi dopo la sua partenza. Per vendetta per la sua fuga. “Sono completamente solo”, dice triste. “Il senso di colpa era così grande che ero completamente incapace di fare qualsiasi cosa”, continua. “Non riuscivo a dormire e continuavo a pensare ai miei genitori giorno e notte”. “Mi ha guarito nel corpo e nell’anima” Sconvolto da così tanto dolore, continuo a guardare il ragazzo. All’improvviso il suo viso si illumina e indica la dottoressa della Croce Rossa. “Mi ha guarito nel corpo e nell’anima”, dice. “Senza di lei non ce l’avrei fatta”. La dottoressa si inserisce nel discorso: “È questo che rende così bello il mio lavoro. Solo che l’aiuto è davvero poco”, dice. “Ed è frustrante”. Quando chiedo a Moussa del suo futuro e dove vorrebbe andare una volta ottenuti i documenti di rifugiato riconosciuto, leggo l’incertezza nel suo sguardo. Uno sguardo che mi fa capire all’improvviso perché non possiamo abbandonare i migranti al loro destino. Questo ragazzo non ha idea di cosa fare, l’importante per lui è non dover tornare nell’inferno da cui è fuggito”.

  

  

          

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