La fuga dalle violenze e dal terrore, poi l'Italia e il nuovo inizio: a Fermo si celebra la promessa di matrimonio tra Chimiary ed Emmanuel
Il 6 gennaio 2016, Chimiary ed Emmanuel si sono giurati fedeltà, con una singolare liturgia cristiana priva di effetti civili, la coppia infatti non possedeva i documenti necessari a contrarre un matrimonio regolare. A officiare il rito, nella Chiesa di San Marco alle Paludi a Fermo, Don Vinicio Albanesi, nella doppia veste di parroco e di Presidente della Fondazione che gestisce la struttura di accoglienza dove sono ospitati i due richiedenti asilo. Lo scambio degli anelli ha consacrato un legame che è stato capace di resistere alle bombe e di sfuggire mille volte a un destino avverso. Eppure le parole e gli sguardi delicati di Chimiary ed Emmanuel esprimono con semplicità disarmante i desideri di ogni giovane coppia: vogliono lavorare, vogliono avere dei figli. Hanno voluto ricominciare da qui, e questo momento solenne l’hanno voluto, fortemente. Una bella festa per la comunità dei migranti, per le Piccole Sorelle Jesus Caritas, per i Volontari della Croce Rossa Italiana e per tutti coloro che si prendono cura di questi ragazzi, e che hanno voluto essere presenti. E un messaggio di speranza e di integrazione, che emerge in un clima scandito ora dalle note dell’Ave Maria, ora dai canti africani, tra momenti di allegria e passaggi di sincera commozione.
Dovevano sposarsi nel loro Paese, tra la loro gente, Chimiary ed Emmanuel. Poi le persecuzioni, gli scontri, gli attacchi – sempre più gravi – perpetrati dai terroristi di Boko Haram. Le famiglie decimate, le case distrutte dalle bombe. La loro casa che non c’è più. Aspettano un figlio, e si convincono definitivamente che la Nigeria non sia il posto più sicuro dove metterlo al mondo. Due settimane prima delle nozze, Chimiary ed Emmanuel scelgono di mettersi in viaggio, seguendo l’esempio di migliaia di loro connazionali, e inseguendo la possibilità di un futuro migliore, che poi è semplicemente un luogo in cui la sopravvivenza stessa non sia quotidianamente minacciata. Con il coraggio degli ultimi, i due si mettono su una delle rotte umane più pericolose: la lunga via del deserto e del mare, che attraversa il Niger e la Libia, fino a scorgere la Terra Promessa oltre il Mediterraneo. Migliaia di chilometri, e ancora soprusi, ancora violenze: il viaggio della vita chiede un pedaggio altissimo, in denaro e sofferenze, ed è popolato da milizie regolari e irregolari, predoni, sfruttatori, trafficanti di uomini. Chimiary perderà il bambino proprio in seguito alle percosse subite in uno di quei lager dove i migranti restano parcheggiati alla mercé di aguzzini senza scrupoli, in attesa di prendere il largo a bordo di un barcone. Non tutti ce la fanno; ma questo non fa paura agli afflitti, poiché per loro morire una volta è pur meglio che morire tutti i giorni. E se le navi della Guardia Costiera li intercettano in mare aperto allora sono salvi, sono vivi; sono in un altro Continente. Il destino di Chimiary ed Emmanuel era quello di salvarsi, entrambi. Raggiungono la Sicilia, e da qui sono trasferiti nelle Marche, a Fermo, nella struttura di accoglienza gestita dalla Fondazione Caritas in Veritate. Dopo un esilio durato molti mesi, la giovane coppia può ricominciare a vivere, e il nuovo inizio ha l’aspetto di una comunità pacifica e solidale, il calore di una casa e di una grande famiglia. Nei locali del Seminario Arcivescovile ci si ritrova fratelli: i ragazzi venuti dai confini del mondo, le Piccole Sorelle Jesus Caritas e i Volontari di Croce Rossa, che a loro si dedicano con umanità.