I richiedenti asilo “di ritorno”. Il centro per la “Sindrome di Dublino”

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foto di Marco Alpozzi – Accoglienza di un gruppo di migranti da parte di operatori della CRI

ROMA – Un centro pilota che fornisce assistenza integrata ai più deboli fra i migranti: i richiedenti asilo “di ritorno”, quelli che si sono spostati in un paese diverso da quello in cui erano entrati in Europa e che una volta individuati vengono rispediti dove gli erano state prese le impronte digitali, e dove questo popolo di “invisibili” (cha a Roma è valutato in duemila persone) è costretto a sopravvivere in condizioni di indigenza e abbandono. Il progetto A. M. I. C. I. per l’accoglienza di soggetti vulnerabili richiedenti protezione internazionale trasferiti in Italia in applicazione del Regolamento di Dublino, finanziato con fondi europei per i rifugiati 2011-2012 e cogestito da Università Cattolica del Sacro Cuore e Croce Rossa di concerto con Unione Europea e ministero dell’interno, è diretto dal professor Emanuele Caroppo.Assistenza sanitaria ma non solo. Il centro per Dublino-vulnerabili di Roma fornisce assistenza integrata, non solo sanitaria ma allargata a tutti gli aspetti della vita sociale e dell’integrazione: la Cattolica è la prima università che mette a disposizione il proprio policlinico per la tutela della salute di questa specifica categoria di migranti. “Ci siamo resi conto, dopo anni di pratica quotidiana trascorsi a  verificare fattori di stress e vulnerabilità, che i dublinanti sono particolarmente vulnerabili alla malattia fisica o psichica – sottolinea il professor Caroppo. – Tra loro vi sono vittime di tortura con gravi conseguenze psicofisiche, donne con complicanze da mutilazioni genitali, gruppi familiari monoparentali. L’idea è creare un centro specifico per queste persone, forti della struttura di eccellenza e della capacità di intervento del Policlinico Gemelli. Tre necessità essenziali. Quando arrivano in Italia – paese tra i meno ricettivi in materia di accoglienza ai richiedenti asilo – queste persone hanno tre necessità: di tipo legale (e abbiamo istituito un ufficio che aiuta a farsi strada tra gli obblighi burocratici per quanto riguarda per esempio i ricongiungimenti familiari), di tipo sociale, che attiene alla possibilità di integrarsi grazie a una mediazione in grado di appianare problemi linguistici e culturali, e relativa alla salute (arrivano persone con situazioni quali cardiopatie, diabete, fratture, ma anche con problemi di tipo psicologico). E non ci occupiamo solo di adulti ma anche di bambini, compresi quelli non accompagnati”. Al momento sono una dozzina i bambini presi in carico, e otto gli adolescenti. A giugno partirà un progetto di prevenzione della depressione post partum (metodo Milgrom) per le donne migranti, che subiscono in modo devastante lo stress di un parto medicalizzato e vissuto lontano dagli affetti familiari e dalla propria casa. Un aiuto concreto che serve a vivere. Complessivamente al centro di via Orti della Farnesina fanno capo una quarantina tra psicologi, assistenti sociali, mediatori: “Si tratta di un centro ad alta intensità di assistenza, una risposta  all’Europa che ci accusa di non fornire adeguata assistenza ai migranti”, sottolinea il professor Caroppo. Quando una persona deve far riferimento a vari servizi dispersi in diverse sedi, il tempo di “sospensione” si moltiplica.  “La nostra scommessa è creare un centro specialistico che in due-tre giorni esegua tutti gli esami necessari per formulare una diagnosi e avviare le persone alle terapie, ma fornisca anche in tempi brevissimi le certificazioni medico-legali necessarie per avanzare la richiesta di asilo alla commissione che valuta lo status di rifugiato”, spiega il direttore del centro. “Accogliamo fino a 90 persone”. “Siamo in grado di accogliere fino a 90 persone contemporaneamente, con un limite di permanenza di tre mesi. Abbiamo snellito al massimo le pratiche mediche e siamo pronti a mandarli in commissione più rapidamente. A tutti è assicurato il sostegno psicologico per stress migratorio: abbiamo messo a punto una ludopedagogia che prevede  attività non solo nel centro ma in altre strutture esistenti nel territorio, a partire dall’inserimento scolastico dei bambini fino alla formazione al lavoro per gli adulti, attraverso contatti con una rete di centri di ristorazione, vivai e altre strutture in grado di fornire impiego”.Positiva l’integrazione con il territorio. Tenendo sempre d’occhio il fattore umano, non solo la prestazione sanitaria. “Per noi non c’è peggior nemico della  solitudine, del sentirsi abbandonati in un mondo difficile e spesso ostile: basti pensare alle reazioni che ha scatenato in una opinione pubblica poco sensibile la nomina del ministro Kyange e il suo impegno per  riconoscere la cittadinanza italiana a chi nasce in Italia. Il territorio in cui il centro è inserito risponde molto positivamente, i nostri ospiti si sono integrati bene. La nostra attività procede a pieno ritmo da gennaio: accogliamo persone da tutte le parti di Africa e medio oriente”. Il talento di un giovane iracheno. L’idea è far sì che questi ospiti manifestino di “esserci”, riuscendo ad esprimersi: “Abbiamo conosciuto un giovane iracheno arrivato qui da Londra che possiede un talento eccezionale per il disegno: vorremmo avviarlo a una scuola di pittura per consentirgli di esprimere appieno le sue capacità. La ‘sindrome dublinese’, nel suo caso, è evidente nel diverso carattere dei disegni che crea oggi rispetto a quando era a Londra: ora i colori sono più cupi e il disegno esprime amarezza e incertezza”. Una regista sta girando un videoracconto su questo ragazzo, per far conoscere la sua storia. Ospite del centro è anche un giovane richiedente asilo che si è dato fuoco all’aeroporto di Fiumicino per resistere alla deportazione: è già stato affidato al chirurgo plastico e verrà avviato a un trattamento per eliminare le cicatrici.   REPUBBLICA.IT – 08 MAGGIO 2013

  

  

          

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