Gli angeli della notte di Milano

Emarginazione, immigrazione, crisi economica: a Milano, come in molte altre città europee, migliaia di persone sono costrette a vivere nell’indigenza e si aggirano per le strade alla ricerca di un giaciglio per la notte. Ad assistere questi disperati vi sono spesso soltanto i volontari della Croce rossa italiana.

Ore 20.30, sede della Croce rossa Italiana (CRI) di Bresso alle porte di Milano. Corinne Conti Menefoglio carica, insieme agli altri volontari delle Unità di strada, le coperte e i generi di conforto che verranno distribuiti durante la notte a un centinaio di senzatetto milanesi. “Il progetto provinciale per i clochard è un servizio che la Croce Rossa della provincia di Milano svolge ogni notte da dieci anni in inverno e in estate, secondo percorsi prestabiliti in accordo col Comune di Milano e altre associazioni di volontariato”, racconta Corinne mentre finisce di preparare il thermos del tè. Nata a Lugano 33 anni fa, cittadina italiana e svizzera, discendente di una famiglia storica ticinese (i suo prozii Menefoglio Ronchetti costruirono tra l’altro l’Ospedale italiano di Lugano e a loro è intitolata una borsa di studio della città sul Ceresio), ogni giovedì da circa otto anni Corinne presta servizio quale volontaria della CRI. Dopo studi di grafica e web design, lavora come interprete free lance nel capoluogo lombardo. Anche se spesso torna in Ticino, dove vivono alcuni parenti. Umanità variegata A bordo di un veicolo attrezzato ci dirigiamo alla prima tappa del percorso di questa sera: la stazione Greco Pirelli nel nuovo quartiere universitario della Bicocca. Giunti nella sala d’aspetto, i volontari sono attesi da un’umanità variegata. Ci sono una ventina di persone, tra di loro molte donne italiane e straniere. Di alcuni di loro Corinne ci racconta le storie, fatte di problemi famigliari, di disoccupazione, di licenziamenti improvvisi. Lei li conosce e li assiste da anni ed è un punto fermo nelle loro notti. Uno di loro, il più brontolone, se la prende, scherzando, con lei, perché al posto delle brioche oggi ha portato le gallette che, causa mal di denti, gli riesce difficile addentare. Ma lei, che li conosce da tempo, sa come prenderli e si scusa. Una delle donne, la più infreddolita, si complimenta: “Chi ha fatto il tè? E’ veramente buonissimo: io il giovedì aspetto sempre la CRI per bere il tè”. Poi Corinne prende in disparte alcune donne chiedendole le taglie: “Ho molte cose nel guardaroba che non metto più: se vi possono andare bene la prossima volta ve li porto”. Dopo aver servito a tutti le bevande, dopo aver distribuito viveri e indumenti, e, soprattutto, dopo aver offerto quell’assistenza morale e amichevole di cui le persone vulnerabili hanno estremamente bisogno, i volontari salutano i senza tetto che abbandonano la sala d’aspetto e si sparpagliano verso i loro anfratti segreti, dove passeranno la notte. Nuovi poveri Noi risaliamo a bordo del mezzo attrezzato della Croce Rossa. Direzione: i portici di un grande edificio nell’area dove sta sorgendo il nuovo quartiere Garibaldi-Repubblica. Un dormitorio “à la belle étoile” per molti clochard sdraiati su cartoni e avviluppati in coperte e sacchi a pelo. Quasi tutti dormono già. “E’ meglio non svegliarli: riaddormentarsi per loro è un grande problema”, dice Corinne che con delicatezza lascia a lato del giaciglio di ognuno un pacchetto di biscotti e una bibita: la colazione per il giorno dopo. Poche centinaia di metri, ed eccoci alla Stazione di Porta Garibaldi. Appena il mezzo della Croce Rossa apre le sue porte, alcuni clochard si avvicinano. Uno, il più veloce, vestito con abiti casual puliti che viene chiamato il “Marito di Corinne”, ha da tempo palesato la sua simpatia per questa volontaria dai capelli fulvi. “Ce l’hai un profilo su Facebook?”, azzarda per trovare il modo di chattare con lei in privato. “Massimo è uno di quei nuovi poveri che anche a causa della crisi economica che stiamo vivendo si è trovato improvvisamente senza lavoro e quindi senza soldi per pagarsi un affitto,” racconta Corinne, inquadrando quello che è il modello emergente di clochard milanese. Ritorno alla normalità Ci spostiamo all’interno. Dopo aver fatto visita al professor Mohammad, che vive con tutti i suoi giornali impilati fino al soffitto in uno degli stanzoni a vetri della stazione (particolare che gli ha fatto guadagnare il soprannome di “Edicolante”), attraversiamo i binari. Lungo le banchine vivono molti senza tetto, soprattutto stranieri. Come il rasta dello Sri Lanka che parla un perfetto e forbito italiano. Di giorno vende catenine che infila lui in uno stand alla fermata del metro. O il cinese, fuoriuscito dal circuito di assistenza della vicina comunità di via Paolo Sarpi, la Chinatown meneghina. I volontari si fermano e scambiano qualche battuta. Più avanti ancora, due sagome dormono avvolte in coperte di lana a fianco di una colonna. Uno si sveglia ma non parla l’italiano. È nuovo e Corinne sfoggia uno dei tanti idiomi che da buona svizzera domina (italiano, inglese, francese e tedesco) per interagire con lui. È un rumeno arrivato da poco a Milano che parla solo la sua lingua. E allora chiede aiuto al compagno di giaciglio, Andrea, un bergamasco ex tossicodipendente che sembra avercela col mondo. Corinne lo ascolta, lo lascia sfogare. Poi con tranquillità si rivolge a lui e cerca di spiegargli come può ottenere la residenza, senza la quale non può rifare i documenti e così rientrare in un percorso di normalità e assistenza sociale. “Non ti prometto nulla, ma la settimana prossima ci rivediamo qui”, gli dice. E Corinne si informerà, troverà la soluzione ai problemi di Andrea. E tornerà con le risposte per lui. C’è da giurarlo. Michele Novaga, swissinfo.ch Milano

  

  

          

Copy link
Powered by Social Snap