ANSA/COREE: REDUCE ITALIANO, DOPO 60 ANNI DI NUOVO ANGOSCIA

NEL 1951 TEN.COL. RAGAZZONI ERA CAPO FARMACIA OSPEDALE CRI N.68

(di Melania Di Giacomo) (ANSA) – ROMA, 24 NOV – ”Provo una grande senso di angoscia”: a distanza di 60 anni dalla guerra, e dopo quattro spesi nell’ ospedale italiano a Seul per il tenente colonnello Gianluigi Ragazzoni, ”italiano del 38/mo parallelo”, di Collalbo-Renon in provincia di Bolzano, ” e’ inaccettabile che la storia si ripeta”. E’ alta la tensione dopo il bombardamento di Pyongyang nell’ isola sudcoreana di Yeonpyeong, ma lui (anche se non dice la sua eta’ ha circa 90 anni) spera ancora in una soluzione diplomatica: ”Credo che la crisi si risolvera’ senza un attacco militare, con la mediazione di Usa, Cina, Russia e Giappone”. ”La dittatura del Nord vorrebbe riunificare le due Coree, senza comprendere – spiega – che oggi si tratta di due Paesi diversi: quando ho lasciato l’ ospedale, il muro piu’ alto di Seul era un metro e mezzo, oggi e’ una metropoli di 12 milioni di abitanti, con grattacieli e un tenore di vita occidentale”: ”Ci sono tornato almeno 15 volte, invitato dal governo, e ogni volta mi sorprende”. Ragazzoni, allora sottotenente chimico-farmacista, e’ stato il direttore della farmacia e del laboratorio di analisi dell’ ospedale numero 68, inviato dal governo italiano a sostegno della popolazione civile nella guerra di Corea (1950-1953). ”Gli alleati – ricorda – chiedevano all’ Italia un intervento militare. Per fortuna il presidente De Gasperi e il ministro degli Esteri, Sforza, decisero per l’ invio dell’ ospedale”: fu la prima missione di pace dell’ Italia repubblicana. Le strutture vennero imbarcate su una motonave americana che salpo’ da Napoli il 16 ottobre 1951 e raggiunse il porto di Pusan, in Corea del Sud, esattamente un mese dopo, per poi insediarsi, diretto dal maggiore Fabio Pennacchi, in due edifici scolastici di Yong Dung Po, un sobborgo della capitale Seul. L’ ospedale della Croce Rossa italiana rimase operativo per 4 anni. ” La richiesta era curare la popolazione, in realta’ – dice – abbiamo curato anche i militari, soprattutto francesi ed etiopi” (erano 16 i Paesi dell’ Onu che inviarono truppe combattenti in appoggio di Seul). Quel piccolo nucleo di uomini e donne, 71 in tutto, di cui sette ancora in vita (la veterana e’ la crocerossina Alma Pascutto, romana, classa 1909), resto’ operativo fino al dicembre del 1954, piu’ di un anno oltre la fine del conflitto. Curo’ migliaia 7 mila pazienti ricoverati, e forni’ piu’ 230 mila prestazioni ambulatoriali. Tuttora la popolazione e il governo sudcoreano hanno nei confronti dei reduci italiani un gran debito di riconoscenza, tanto che hanno ricevuto un invito anche in occasione del G20 di Seul, ma nessuno degli italiani ha potuto presenziare.

  

  

          

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