Emergenza migranti: Diario da Lampedusa – La conta

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foto Tommaso Della Longa/ItRc

di Laura Bastianetto – volontaria CRIUno, due, tre, quattro….I migranti vengono contati mano a mano che scendono da quella carretta in legno o in ferro su cui sono rimasti immobili per giorni. La mano del soccorritore è il loro primo contatto con l’Italia. Aissa e via sul molo un po’ zoppicando, un po’ reggendosi le gambe. Il dolore a volte è lancinante, ma tale è la voglia di scendere che dimenticano qualsiasi fastidio. Si siedono di nuovo sul molo in attesa che arrivi il pullman per portarli al centro d’accoglienza e intanto bevono un po’ d’acqua e mangiano una merendina. Uno di loro a cui chiedo come va e se ha bisogno di qualcosa mi guarda e mi offre un pezzo della sua merenda e poi mi sorride. Ogni volta è così, che vengano dalla Libia o dalla Tunisia, tutti i migranti danno grande prova di dignità. Scappano dalla guerra. Fuggono dal terrore. Non importa cosa faranno, dove vivranno. L’importante è che siano salvi. Me lo fa capire bene Ibrahim, un ragazzo del Ciad, quando mi dice che è stanco, ma è felice e poi aggiunge “I’m safe”. Dall’altra parte c’è Mariam che sfoggia un sorriso bellissimo. Lei è all’ottavo mese di gravidanza, ma la cosa è evidente per i suoi vestiti larghi e non per la sua faccia che non mostra neanche un segno di cedimento e sofferenza.Sembrano fatti di acciaio i migranti che arrivano qui in Italia. Eppure il viaggio è lungo. Dalla Libia dura almeno tre giorni, condizioni del mare permettendo. Dalla Tunisia s’imbarcano e in un paio di giorni sono qui. Aspettano seduti che tutti scendano dalla barca e intanto io ho l’occasione per scambiare due chiacchiere con loro. Hanno vite tremende. Nei loro passati ci sono stupri, carceri, guerre, agguati schivati e poi la fuga in mare pagata a caro costo.

  

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foto Tommaso Della Longa/ItRc

Al centro Loran dove ogni tanto capitiamo per vedere se tutto va bene e se qualcuno ha bisogno di assistenza, trovo gli africani accolti il giorno prima al molo. Uno di loro mi chiede se posso dargli una mano a telefonare a un suo amico in Libia. Al centro gli hanno dato una scheda telefonica internazionale senza però nessun suggerimento allegato sul come utilizzarla. Me la porge e io volentieri lo aiuto usando il mio telefono e cominciando a digitare i vari codici indicati. Nel giro di pochi minuti vengo letteralmente circondata. Sembra di essere allo studio medico. La dottoressa che assiste uno a uno i suoi pazienti, mentre tutti gli altri aspettano rispettosamente il loro turno. Tutti hanno capito cosa fare. Scrivono su un foglio il numero da chiamare. In pochi minuti siamo in contatto con il mondo. Raggiungiamo la Francia, la Spagna, la Libia e tutta l’Africa subsahariana. Mi dicono che probabilmente partiranno domani per raggiungere gli altri centri dislocati nelle varie regioni d’Italia. Sono sereni. Il futuro che li attende non li spaventa neanche un po’ e d’altronde conoscendo le loro storie come dar loro torto. Me ne torno alla stazione marittima dov’è il nostro posto medico avanzato. Il direttore sanitario mi avverte: “Stanno arrivando altri due barconi”. Tutti ci prepariamo. Ricomincia la conta.

  

       

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