La storia di E. è diversa dalle altre, i talebani entrarono nella sua vita molto tempo prima dell’ingresso a Kabul. Nel 2007 suo fratello, A. N., giornalista di professione, scese nel Sud dell’Afghanistan con il corrispondente Italiano Daniele Mastrogiacomo per documentare la vita della popolazione del Sud. I talebani li catturarono e dopo qualche mese liberarono Mastrogiacomo e uccisero il fratello.
E. Colpito e profondamente arrabbiato decise, nel 2008, di andare a Perugia, inizialmente per studiare la cultura italiana nel suo complesso e successivamente si iscrisse alla facoltà di Scienze Politiche all’Università di Perugia. Nel 2012 terminò gli studi e tornò in Afghanistan venendo subito assunto all’Ambasciata Italiana di Kabul.
Era un Project Manager dell’ambasciata, si occupava di giustizia, cultura e buon governo gestendo progetti che andavano dai 6 ai 10 milioni di euro; l’unico scopo dei suoi progetti ero l’aiuto verso il popolo afgano.
“Avevamo paura dei talebani da qualche mese ormai” dice E. “Tre mesi fa, io e i miei colleghi, avevamo inviato una lettera all’ambasciatore Giovanni Grandi per chiedere aiuto qualora i talebani fossero entrati a Kabul”. Quella lettera fece scattare un lungo confronto tra l’Ambasciatore e il Ministro degli Affari Esteri e quest’ultimo assicurò che l’Italia avrebbe accolto tutti coloro che collaboravano o lavoravano per l’Italia.
Nessuno pensava che i talebani avrebbero preso la città in un giorno: hanno iniziato, qualche mese fa, a conquistare 1 o 2 distretti al giorno senza prendere le province, sono poi passati a conquistare 15 distretti al giorno ma E. e i suoi colleghi non erano preoccupati perché ancora non conquistavano le province. Arrivati ad avere quasi la totalità dei distretti passarono alle province e da questo momento la paura iniziò a farsi forte.
Il 16 Agosto circondarono Kabul e qualche ora dopo E. apprese che il Presidente del Governo aveva lasciato il paese.
Da quel momento la città venne travolta da spari e ruberie, E. scappò e si nascose a casa di amici per due giorni.
Aveva tre motivi per essere ucciso dai talebani: ha studiato e ora lavorava per la Repubblica Italiana, per la storia che aveva coinvolto il fratello e infine perché nel 2013 aveva fondato un’organizzazione benefica per aiutare la popolazione afgana. In questi due giorni rimase sempre in contatto con i suoi colleghi e alle due di notte del terzo giorno arrivò una chiamata da un suo collega che lo avvisava che alle 4 doveva essere in aeroporto.
Scappò con la famiglia e quando arrivò in aeroporto trovò la stessa folla che noi nello stesso momento guardavamo in televisione. La preoccupazione per le figlie non fermò E. che riuscì a oltrepassare la folla e grazie ad un soldato italiano salì sull’aereo.
Ad oggi la situazione è peggiorata: i talebani buttano giù le porte, uccidono gli uomini, prendono le donne dai 14 ai 40 anni e il resto della famiglia lo uccide sul posto.
E. Vuole diventare Volontario di Croce Rossa per aiutare gli altri come noi abbiamo fatto con lui.
“Grazie al Governo Italiano, all’Ambasciata Italiana, alla Cooperazione Italiana e all’ambasciatore Grandi, alla Croce Rossa Italiana e all’Esercito Italiano che ci ha aiutato in questa fuga verso una nuova vita”.