È scritto che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Puoi ignorare tutto di loro (o fingere di farlo), i buffi vestiti, i sacchi e le enormi borse di tela che si tirano dietro, il loro atteggiamento quando scendono dagli autobus che li hanno condotti sin qui, puoi decidere di ignorare tutto, ma gli occhi no, non puoi, non riesci!
Solo che qui le anime non hanno specchi! Gli occhi di questa gente sono finestre che si affacciano direttamente su un mondo di cui non sospettavi l’esistenza solo pochi minuti prima. Sono gli occhi spalancati di quella bimba, aperti su una vita che ancora non conosce, ma della quale ha già visto ogni miseria, sono gli occhi di quella donna che se ne sta in disparte, socchiusi fra veli che cominciano a squarciarsi, sono gli occhi orgogliosi di quel capo famiglia che scende dall’autobus e ti viene incontro con la mano tesa, perchè questo fanno gli uomini nei paesi civili: si stringono la mano, senza che nessuno debba poi alzarle e metterle dietro la testa!
Storie, paure, angosce e speranze che ti vengono incontro su un piazzale alle prime luci di un alba che tarda a diventare giorno.
E tu capisci in un attimo che la prima parola che devi cancellare dal tuo vocabolario è “migranti”; i migranti si spostano da un paese all’altro, spinti da questo o da quello, questi no, questi sono profughi, loro non si spostano, scappano dal loro mondo, dalle speranze che timidamente cominciavano ad affacciarsi nelle loro vite, scappano dal pensiero che non importa quanto profondo sia il buio se sai che un giorno spunterà la luce, scappano per la vita, la loro e quella dei loro cari!
Dopo ore di autobus sanno ancora sedersi e aspettare pazientemente che li si possa organizzare, mangiano la colazione che stai offrendo loro, prendono i giochi che dai ai bambini, i vestiti o la biancheria per gli adulti, con quell’espressione “…è per me?” stampata sul volto, entrano timidamente nella loro camera guardandosi intorno con sollievo e smarrimento al tempo stesso.
E tu ti chiedi dove sei stato sinora, cosa sapevi di quel mondo che rappresentano, cosa ti stanno dicendo e, soprattutto, cosa ti stanno insegnando.
Per una settimana mi sono preso cura di loro. Sono entrato nelle loro stanze, ma anche nelle loro vite. Ho conosciuto madri e sorelle, fratelli che non sono riusciti a saltare il filo spinato all’aeroporto, padri che non se la sono sentita di partire e abbandonare la terra loro e dei loro padri, ho visto quell’espressione sollevata di chi è riuscito ad abbandonare il male, la prepotenza e la prevaricazione, ma anche quei lampi di perplessità di chi non sa ancora quale sarà il suo domani, un minestrone cosmico di emozioni e sentimenti.
Sempre con quella domanda in testa: cosa mi stanno insegnando?
E alla fine arriva la mattina della partenza, gli “ospiti” lasciano la base per raggiungere la loro destinazione finale. Ce ne stiamo tutti sul piazzale in silenzio, in attesa che, un nucleo familiare alla volta, vengano avviati agli autobus che li porteranno via. Una signora che ho visto molte volte nei giorni precedenti si stacca dal gruppo e timidamente viene verso di me. Ha tra le mani un pezzetto di tela bianca, forse un fazzoletto. Lo bacia e me lo poggia sul cuore lasciandomelo tra le mani. Solo quando l’autobus è ormai solo il rumore di un motore che si allontana guardo il regalo. È un fazzoletto candido e piccino, in un angolo è ricamato un mazzetto di roselline, la vita e il bello che ostinatamente rinascono e si oppongono al fango dell’esistenza, la volontà caparbia di voler vedere ancora quanto di delicato e gentile ci sia al mondo!
E mentre una lacrimuccia mi rammenta che non sono ancora diventato Supermen o l’Uomo ragno, arriva la risposta che ho tanto cercato in questi giorni: cosa mi resta di questa esperienza e dove mi hanno portato questi incontri? Si può vedere la gratitudine? La si può odorare o toccare fisicamente? Ci si può sentire, per una volta, riempiti?
Se tutto questo è davvero possibile, allora sta succedendo a me adesso, su questo piazzale assolato e improvvisamente deserto, mentre sventolo un fazzoletto ricamato per salutare un autobus che ormai non si vede più!
Un volontario CRI
Sanremo, agosto/settembre 2021