Lettera ai Soci C.R.I. della Sicilia per un nuovo impulso del Principio di Umanità

 

A tutti i Soci C.R.I. della Sicilia

Cari amici e colleghi,

nella giornata di oggi si terrà, in Agrigento, la cerimonia di commemorazione delle vittime dei naufragi di migranti nel mare di Lampedusa. La Croce Rossa Italiana sarà presente, così come lo è stata in questi giorni quando, da Aci Sant’Antonio a Mazzarino, passando per le altre città che si sono offerte, i Volontari C.R.I. hanno preso parte alla tumulazione delle 374 vittime della tragedia, che hanno trovato riposo in diversi cimiteri siciliani.

Ma, soprattutto, i Volontari C.R.I. sono stati (e sono!) presenti sulle zone degli sbarchi e nei campi, ininterrottamente, per dare assistenza a coloro i quali sperano in un futuro migliore.

Sì, cari colleghi: un futuro migliore. Questa è la “colpa” che le donne e gli uomini migranti hanno: sperare in un futuro migliore per loro e per i loro figli. Una speranza più forte dei pericoli e delle incognite che comporta una traversata via mare ed a bordo di una bagnarola:


sono donne e uomini, ridotti ormai a “numeri”, che scappano da paesi dove c’è la guerra civile, dove lo Stato non esiste o la violenza è l’unica legge;


-sono donne e uomini le cui gambe non vedono l’ora di toccare terra, ed i cui occhi, stravolti da un viaggio in cui hanno perso o rischiato di perdere perfino i loro congiunti, si riempiono di speranza ed emozione se vedono l’emblema di Croce Rossa…


sono donne e uomini che dopo aver perso tutto e dopo aver rischiato la vita, sono anche sottoposti ad un odioso e strisciante razzismo.


Molti di voi avranno letto on line quella citazione che viene ricollegata all’esperienza dei migranti italiani negli Stati Uniti all’inizio del secolo:

«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in 2 e cercano una stanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano 4, 6, 10. Parlano lingue incomprensibili, forse dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina; spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici, sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali…».

Non sappiamo se questa testimonianza sia davvero autentica: quello che sappiano è che le pubblicazioni americane di quegli anni usavano parole simili ed il sentimento dell’epoca verso gli italiani migranti era proprio questo:

«Non c’è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi. «Loro» sono clandestini? Lo siamo stati anche noi: a milioni, tanto che i consolati ci raccomandavano di pattugliare meglio i valichi alpini e le coste non per gli arrivi ma per le partenze. «Loro» si accalcano in osceni tuguri in condizioni igieniche rivoltanti? L’abbiamo fatto anche noi, al punto che a New York il prete irlandese Bernard Lynch teorizzava che «gli italiani riescono a stare in uno spazio minore di qualsiasi altro popolo, se si eccettuano, forse, i cinesi». «Loro» vendono le donne? Ce le siamo vendute anche noi, perfino ai bordelli di Porto Said o del Maghreb. Sfruttano i bambini? Noi abbiamo trafficato per decenni coi nostri, cedendoli agli sfruttatori più infami o mettendoli all’asta nei mercati d’oltralpe. Rubano il lavoro ai nostri disoccupati? Noi siamo stati massacrati, con l’accusa di rubare il lavoro agli altri. Importano criminalità? Noi ne abbiamo esportata dappertutto. Fanno troppi figli rispetto alla media italiana mettendo a rischio i nostri equilibri demografici? Noi spaventavamo allo stesso modo gli altri.

Perfino l’accusa più nuova dopo l’11 settembre, cioè che tra gli immigrati ci sono «un sacco di terroristi», è per noi vecchissima: a seminare il terrore nel mondo, per un paio di decenni, furono i nostri anarchici (…) fermando il respiro di New York ottant’anni prima di Osama Bin Laden» (Gian Antonio Stella, L’Orda).

Oggi i migranti sono sottoposti ad una odiosa discriminazione, e con le stesse parole cui erano destinatari i nostri connazionali. Si tratta di un atteggiamento ignobile e vergognoso, che va combattuto e che, naturalmente, non può trovare giustificazione alcuna per i membri della Nostra Associazione.

In questa giornata di silenzio e rispetto per le vittime, ritengo giusto lanciare a tutti i Comitati C.R.I. della Sicilia la sfida di dare un nuovo impulso al Principio di Umanità, pianificando azioni di sensibilizzazione alla popolazione e di inclusione sociale per i soggetti migranti. Siamo chiamati a mettere in rete, fra di noi ed all’esterno, le esperienze che abbiamo maturato sul campo, per essere ancora una volta al fianco di chi è più vulnerabile, di chi è discriminato.

Desidero, inoltre, dirvi che sono orgoglioso di quanto tutti voi avete fatto e state facendo non solo per fronteggiare un’ “emergenza”, ma soprattutto per dare assistenza, ascolto, rispetto alle donne ed agli uomini migranti. State compiendo sforzi straordinari, nei campi, nei moli, nelle infermerie: sono fiero di rappresentare questa regione, i cui Volontari e Dipendenti C.R.I. portano avanti le attività ordinarie e quelle – moltiplicatesi 
all’inverosimile - di ausilio ai migranti.

L’altra mattina, trovandomi a Siracusa dopo uno sbarco, accompagnato da altri Volontari C.R.I., ho dato il mio “benvenuti!” ai migranti presenti. Nel rispetto delle leggi dello Stato italiano, e del Principio di Umanità, la loro dignità merita di non essere seconda a quella nostra.

Vi invio miei più cari saluti.-

Palermo, li 21 ottobre 2013
                                                                                                    Rosario M.G. Valastro

 
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