Grazie per averci dato la possibilità di crescere

 

(“Io, volontario della Croce Rossa” – IV puntata)

 
“Grazie per averci dato la possibilità di crescere”.

Questa è stata l’affermazione che ho sentito esprimere da una volontaria al suo docente in una delle aule dove si teneva uno dei tanti corsi che si sono svolti al secondo campo AE SIC 2014.
Questo è stato il senso di una esperienza formativa diversa dalle precedenti.
Fatevelo spiegare dai partecipanti del corso di Team Building, cosa significa fare squadra e divertirsi nello stesso tempo, hanno eseguito in aula una rappresentazione teatrale degna di una importante compagnia, hanno rappresentato la vita, si sono veramente conosciuti, apprezzando i loro pregi e i loro difetti vicendevolmente.
Se fate loro questa domanda forse uno di loro vi risponderà che il teatro e la rappresentazione della vita e che la vita è una rappresentazione teatrale. Mauro Cacciola vi ripeterà all’infinito meno patacche più formazione, Antonio Amadore vi dirà a ripetizione che occorre essere qualificati per i vari compiti cui la CRI verrà chiamata a svolgere, Rosario Valastro vi esorterà al confronto ed allo scambio continuo di esperienze per poter crescere ed essere pronti se ci sarà una esigenza regionale o nazionale.
Io posso solo dire Grazie, per aver partecipato, per aver potuto dare il mio contributo, di aver capito che dobbiamo essere una Croce Rossa al passo con i tempi, motivata, preparata, che guarda al futuro. Attraverso questa formazione si è fatto a mio avviso il primo passo.

Questo è, caro Mauro il mio Feedback.

Da una tenda pneumatica al cucchiaino per il latte

 

(“Io, volontario della Croce Rossa” – III puntata)

 
Da una tenda pneumatica di protezione civile, ad un cucchiaino per il latte. E quasi 24 ore d’attività: dalle 9.45 di mercoledì 9 aprile, alle 8.20 di giovedì 10.
Cinquanta Volontari. Dal Presidente, alla Delegata Area 3; dalla Squadra OPSA, che ha assistito i migranti in mare, a Logisti, OPEM e Istruttori del Gruppo Emergenza; dai Colleghi Volontari dell’Unità di Strada e del Punto Mamma, alle II. VV., insieme ai nostri Colleghi Medici Volontari e agli Infermieri che hanno fornito il supporto sanitario. E infine: tre gazebo, due tende pneumatiche, quattro ambulanze, due mezzi tecnici.
Questi i numeri messi in campo dal Comitato Provinciale CRI di Catania, per l’ultimo, in ordine di tempo e primo della stagione, sbarco di migranti a Catania. Uno sbarco particolarmente impegnativo e drammatico, che ha messo alla prova tutti noi.
Li abbiamo attesi come sempre, con la nostra azione di accoglienza, neutrale e imparziale, mossa solo dal nostro Principio di Umanità. Li abbiamo accolti tutti insieme. Erano in duecento novantacinque, in fondo pochi, ma dodici di loro erano feriti, tra ustionati e contusi, uno purtroppo deceduto, diversi i minori tra i 16 e 17 anni, e una, alla quale abbiamo dato il latte con un cucchiaino.
Noi di Croce Rossa, chiamati ad agire, saremo sempre presenti per assisterli ed accoglierli. In mare, sul molo, all’interno delle nostre tende, per fornire loro i primi generi di necessità e l’assistenza sanitaria.
E staremo accanto ai più piccoli, i più vulnerabili, per tentare con la professionalità e la competenza del nostro sorriso e del nostro gioco, di alleviare il trauma della fuga, del viaggio in mare, dello sbarco in una terra che non è la loro.
Noi ci saremo sempre. Con il nostro Emblema, i nostri Sette Principi, la nostra Missione Umanitaria.

Alfio Ferrara,
Volontario C.R.I. di Catania

Un'estate al mare

 

(“Io, volontario della Croce Rossa” – II puntata)

 
Come ogni estate universitaria quello di cui ti preoccupi maggiormente sono le materie da superare, gli esami da affrontare e il caldo atroce che in questa bella terra di Sicilia non manca mai.
Il primo pensiero libero dallo studio è “oggi vado a mare!” e partono le mille telefonate e messaggi per organizzare con gli amici: dove andiamo? Cosa portiamo? Quanto stiamo? Ma chi siamo? Prendo la macchina o passi a prendermi?
Arrivi a mare e tranquillamente passi la giornata ad arrostire la pelle al sole e a guardare le onde che spingono il mondo all’orizzonte fino a dove la vista poi perde efficacia e parte l’immaginazione.
Vivo in una terra dove fin da piccolo ti abituano alle parole “sbarco”, “clandestino”, “carretta del mare” e guardi il telegiornale cercando di capire che succede, ma in realtà non ti poni mai il problema.
Quest’anno è stata un’estate diversa, tanto mare e tante novità.
Tutto è iniziato quando una mattina, mentre sudavo sui libri, è arrivata una telefonata come tante, per andare a mare…destinazione Porto di Catania (ormai in spiaggia c’è troppa gente e non ci piace la confusione).
In quel momento non pensi a nulla, dai il tuo ok e il primo pensiero è “devo mettermi la divisa!”, le prime parole “Mamma! La divisa!”.
Eh si! Per andare a mare c’è una nuova moda: una divisa rossa, che porta un caldo tremendo e che ti protegge da tutti i raggi solari e anche dalla traspirazione naturale della pelle, colpa delle mamme apprensive che pensano che ti scotterai e poi son dolori!
Quella mattina mi sono fatto accompagnare dalla mamma, non voleva andassi solo all’appuntamento, e mentre andavamo al Porto con gli amici decidevamo chi apriva il gazebo, chi prendeva guanti e mascherine (sempre tutta colpa delle mamme apprensive!) e chi doveva scaricare l’acqua, i succhi di frutta e le brioscine. Alla fine abbiamo anche aperto un bar con un bazar di vestiti!
I miei amici me l’avevano detto che durante la nostra giornata di mare sarebbe arrivata una barca con tanta gente e mentre eravamo li dovevamo dare una mano, fare accoglienza e far funzionare al meglio il bar con il bazar.
Ero pieno di ansia e paura, la mascherina non mi faceva respirare bene e quando mi mettevo a correre poco ci mancava che non respiravo più.
Ad un certo punto eccoli arrivare: uomini, donne, ragazzi e un po’ di bambini.
Il primo pensiero è “Quanta gente!”, le prime parole “Nando la spinale!”
Eh si! Ormai la gente quando viaggia si sente male e cade giù come le pere cotte al sole che cadono dall’albero.
Immediatamente il bar ha aperto e per ognuno che passava c’era una brioscina e una bottiglietta d’acqua. Per i bimbi anche i succhi di frutta. E tanti tanti tanti sorrisi!
Quella mattina andare al mare è stata una fatica: sole ne ho preso poco se non in viso e correvo di qua e là per prendere garze, medicazioni, vestiti, cibo.
Visto che questi nuovi arrivati non parlavano l’inglese capirci era difficile e ci hanno raggiunto altri amici che parlando l’arabo ci aiutavano.
Qualcuno continuava a sentirsi male per via del mal di terra: è risaputo che quando stai molto in mare appena sbarchi il mondo balla un po’.
Quando sono tornato a casa il bar aveva consumato tutte le scorte e i vestiti erano quasi finiti e mi sentivo soddisfatto del mio lavoro e di quello dei miei amici: i nuovi arrivati li hanno trasferiti in un altro stabilimento, perché al Porto era una cosa momentanea.
Dopo questa giornata di mare, tirando le somme, bagno non ne ho fatto, puzzavo di sudore e a stento avevo imparato come si salutava in arabo, eppure quando mi chiedono “Lo rifaresti?” io rispondo “Tutti i giorni della mia vita!”.
Fortunatamente quella volta i miei amici non mi avevano buttato giù dal letto, sanno quanto lo odio eppure se ti chiamano devi per forza rispondere.
La seconda volta che sono andato al mare, gli amici avevano già deciso tutto e mi hanno buttato giù dal letto alle 7.30 del mattino.
Il primo pensiero è stato “Che cavolo! Proprio oggi che dovevo studiare dobbiamo andare lontano e partire presto!”, le prime parole “Mamma, devo andare! La divisa dov’è?!”
Ma quale lontano e lontano!!  Sempre al Porto di Catania siamo finiti, però in un altro molo: i miei amici si sono fissati con questo porto, però hanno l’accortezza di cambiare zona, anche perché dove eravamo l’altra volta si trovava ormeggiata una bellissima nave da crociera (di cui mi sono accorto solo quando dopo 3 ore che eravamo al molo uno dei miei amici me l’ha fatto notare).
In tutto questo ho degli amici monotoni, che fanno sempre le stesse cose: quindi abbiamo aperto il bar e il bazar aspettando l’arrivo di questi nuovi amici venuti da lontano. Questa volta tutti maschi e tutti giovani: finalmente qualcuno che parlava inglese!
Questa volta sembrava di stare come all’aeroporto, con quei recinti che obbligano la strada da prendere e ti smistano: li quelli che stanno bene, la quelli che stanno male, di qua chi deve esse ospedalizzato!
Ho conosciuto diversi ragazzi, forse più giovani di me o della mia stessa età e sono stato così preso dalle cose che ho dimenticato di chiedere il loro nome! Uno di questi mi ha detto di come il viaggio sia stato pesante e di come sarebbe bello stare in Italia, dove ha una zia! Un altro ragazzo mi ha detto che gli piace giocare a calcio e di come voleva portarsi il pallone, ma che l’ha perso all’imbarco della nave.
Rispetto alla prima volta che sono andato a mare, quel giorno è durato meno e tutti o quasi siamo tornati a casa per il pranzo.

Beh si! Sono uno studente universitario e mi piace godere di quel po di mare che ogni tanto posso permettermi tra una materia e l’altra. Quest’estate sono stato a mare, ma niente bagno! Sono stato a mare, ma niente abbronzatura! Sono stato a mare, ma con i guanti e la mascherina! Sono stato a mare, con i miei amici per accogliere chi sbarcava a Catania! Sono stato a mare, a imparare l’arabo (ma non ricordo nulla)! Sono stato a mare, con quella divisa rossa e con le maniche lunghe che ti fanno sudare come non mai! Sono stato a mare…..ma nella foga di raccontarvelo mi sono dimenticato di dire che mi chiamo Carlo ho 21 anni! Sono stato a mare, io, volontario della Croce Rossa Italiana!

Carlo Castruccio Castracani
 
Volontario C.R.I. di Catania

La mia aula diventa la motovedetta e dentro la plancia facciamo lezione

 
 

(“Io, volontario della Croce Rossa” – I puntata)

 
Lampedusa vista dall’alto da l’impressione di essere un piccolo scoglio in mezzo al mare, sembra quasi che sia impossibile poterci camminare sopra.  Eppure una volta che percorri le sue strade, ti accorgi, che quest’isola rappresenta in piccolo l’assurdità del mondo in cui viviamo; ci sono due facce a Lampedusa, quelle dei turisti piene di sorrisi e rilassatezza delle musiche che si sentono nei pub per strada,  quelle delle folle nei bazar; e poi ci sono visi avvolti dalla disperazione, dall’incognita di quello che sarà la vita di domani. Ci sono visi che trasudano  preoccupazione di chi per lavoro si trova a dover rischiare la propria vita perché altri possano vivere.
Il mio lavoro presso la Capitaneria di Lampedusa inizia nel peggiore dei modi; nella diffidenza di chi si aspetta di sentire la solita lezione fatta da qualche saputello che in condizioni di confort elenca gesti salvavita senza avere neanche l’idea del lavoro che qui la Capitaneria svolge.  Come dargli torto;  come si fa a parlare di soccorso a chi nel quotidiana affronta un emergenza sanitaria a 180 miglia da un isola con un numero di pericolanti nettamente superio al numero dei soccorritori. Qui per fare una lezione a “questi” era necessario rompere ogni schema e cercare una chiave che potesse attirare l’attenzione. Sforzarsi di cercare questa chiave era importante,  perché  ero sicuro che se fossimo arrivati ad avere l’attenzione il nostro lavoro sarebbe stato straordinario.  Allora cercare di conoscere, di capire quale veramente sia il lavoro di questi ragazzi, quali siano gli strumenti che nel quotidiano utilizzano per dare un mano agli altri è stato il punto di partenza, il “contratto che Croce Rossa stipula” con “loro” attraverso un semplice presentazione.  Iniziamo così aprendo le cassette in dotazione alle motovedette. Cento soccorsi l’anno, centinaia di persone salvate ed ancore le cassette di primo soccorso era perfettamente imballate con i loro cellofan. Gli occhi diffidenti a questo punto tendono a cambiare perché forse, noi della Croce Rossa, eravamo riusciti a catturare l’attenzione. A questo punto la lezione, partendo da una semplice cassetta di dotazione, non l’ho fatta io formatore, ma l’hanno fatta loro attraverso le domande che si susseguivano bramose dal desiderio di conoscere. Abbiamo utilizzato sul manichino il pallone ambu le canule e l’aspiratore manuale che a loro sembrava una pompa per gonfiare chissà cosa. Adesso avevo la loro attenzione ma ancora non li avevo conquistati. Durante il susseguirsi della lezione esaurendo il programma ci si accorgeva che manca qualcosa. Si arriva all’argomento scottante, le malattie che si posso trasmettere attraverso il contatto con i clandestini; ecco che nuovamente si alza un muro, non fanno che parlare e riparlare delle condizioni nelle quali operano, posso capirli ma loro a questo non badano; per capirli ci vuole altro;  decido che la mia lezione  non può arrivare qui tra le quattro mura di quest’aula. Devo andare lì dove lavorano questi ragazzi; lì dove è possibile capirli. La mia aula diventa la motovedetta e dentro la plancia facciamo lezione. Adesso quello che prevale è l’entusiasmo perché nessuno prima si è “abbassato a tanto” a fare lezioni lì dove loro lavorano. Ogni ragazzo ci tiene a mostrarmi le sue mansioni a farmi vedere la posizione durante la navigazione e durante lo sbarco; parlo seduto lì, dove soltanto un paio di giorni fa ci stava seduto qualcuno che affronta un viaggio faticoso verso un mondo che per cultura non potrà mai capirlo. Adesso ho la mia classe; si sorride, l’aria è più distesa. Mi raccontano di tutti i soccorsi affrontati mi chiedo dell’assideramento delle ustioni delle ferite. Mangio una delle brioche offerte, le stesse che mangiano loro in 36 ore di navigazione bevo la stessa acqua calda che bevono loro durante la navigazione.  Ogni ragazzo, ufficiale di comando ha voglia di parlare, forse perché fra tutti i formatori venuti lì la Croce Rossa ha avuto il grande merito di saper ascoltare e non di decidere cosa sia il meglio per “loro”. Questi ragazzi compio un lavoro atipico che non fa nessuna capitaneria, qui si organizzano i soccorsi con 50 nodi di vento e mare forza otto. Nella loro vita avranno salvato in un paio di interventi centinaia di persone eppure hanno la forza di condannarsi per la morte di chi non sono riusciti a salvare. Mi dicono che gli occhi di chi ha bisogno e si vede in difficoltà sono gli stessi a prescindere dal colore della nostra pelle dal nostro carattere dalla nostra nazionalità. Questi sono padri di famiglia che rischiano la loro pelle ed hanno soltanto voglia di non lasciare indietro nessuno. Mi chiedevano delle considerazioni sul loro operato non tenendo cura che  erano loro a portare un messaggio di vita a me. Nella mia vita di soccorritore sono sempre conscio di fare il possibile per gli altri. Ma qui loro apprendo in fretta perché, “loro” non fanno il possibile,  “loro” vogliono l’impossibile. Terminati l’attività del primo giorno potevo soltanto stare in silenzio; sono convinto cha delle volte il silenzio in certe circostanze è meglio. Come si riesce attraverso le poche righe e due parole a trasmettere le emozioni vissute in così poche ore di lavoro. Come si può trasmettere la sensazione provata da un ragazzo che ti stringe così forte la mano in segno di gratitudine per il lavoro svolto. Ritrovare all’indomani tutti quelli liberi ancora una volta in classe quando potevano benissimo starsene a mare e rilassarsi nei pochi momenti liberi è stato davvero particolare. Ricevere un segno di gratitudine da chi compie qualcosa di straordinario e ti dice che “di corsi ne abbiamo fatti tanti e vero, ma questo è stato il corso fra i corsi” non ha eguali. Sarebbe stato riduttivo esprimersi elencando gli atti relativi agli argomenti del corso perché la classe affidatami era molto preparata e la loro manualità circa i gesti salvavita era superiore alla sufficienza. Credo che lì il Nostro compito come Croce Rossa era ben altro; era quello di ascoltare perché nessuno ha ascoltato questi equipaggi, solo così i Nostri obiettivi potevano essere raggiunti. Ringrazio voi tutti perché chi non c’era non poteva capire “ed io c’ero”, grazie a chi ha creduto in me. Molte volte perdiamo tempo in guerre stupide dentro la Nostra Associazione quando la Croce Rossa è in grado di arrivare dove gli altri non arrivano.

Francesco Messina

Volontario C.R.I. di Siracusa

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