Nel centro dei ragazzi cacciati dalle famiglie: «Siamo qui perché gay»
Viaggio a Roma nell’unica casa di accoglienza anti-omofobia in Italia che accoglie giovani tra i 18 e i 26 anni; aperta lo scorso anno grazie all’impegno di Croce Rossa.
Lo sguardo timido, la paura ancora negli occhi, il dolore ma anche la voglia di sperare. Nella casa Refuge Lgbt, la prima e unica in Italia che accoglie le giovani vittime di omofobia, ci sono sei ragazzi e una ragazza. Vengono da ogni regione, soprattutto dal sud, hanno tra i 18 e i 26 anni, le loro storie mostrano un tratto comune: sono stati cacciati o vessati dai genitori quando hanno rivelato la loro omosessualità.
« Da un giorno all’altro mi sono ritrovato in mezzo alla strada — dice uno di loro —, non sapevo dove andare, ero disperato poi su Facebook qualcuno parlava della casa rifugio e l’ho considerato un segno».
Location segreta
L’indirizzo di Refuge Lgbt, alla periferia di Roma, è segreto perché i ragazzi vanno protetti. In alcuni casi ci sono vertenze aperte con la famiglia per il mantenimento, in altri i genitori vorrebbero riportarli a casa ma per tenerli segregati.
Alla vigilia della Giornata internazionale contro l’omofobia, che si celebra il 17 maggio, il Corriere è entrato nella casa-famiglia in occasione della visita della vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia Mara Carfagna: «La lotta contro le discriminazioni deve essere un impegno comune, un tema che unisce il Paese al di là delle differenze politiche» dice lei incontrando i ragazzi e i cinque operatori che li seguono 24 ore al giorno fornendo assistenza psicologica e pensando per loro un percorso di studio e di inserimento nel mondo del lavoro. L’appartamento, 200 metri quadrati, è essenziale ma accogliente: quattro stanze e tanti spazi comuni, una grande dispensa dove sono impilate decine di scatolette, donate da qualche benefattore. Gli ospiti sono chiamati a seguire alcune regole: pulizie, turni in cucina e lavanderia, pranzo e cena condivisi, rientro alle 22,30 e consegna del telefono durante le ore notturne. Vietato l’uso di alcol o droghe.
«Abituarsi non è facile — spiega Daria Russo, 35 anni, psicologa e coordinatrice per la Croce Rossa del Refuge — ma è l’unica strada per raggiungere l’autonomia e uscire dalla casa con le proprie gambe. Io lavoro qui da quando abbiamo aperto e tengo a questi giovani come a dei figli».
I traumi
Vincendo una certa ritrosia i ragazzi si raccontano davanti alla parlamentare. «Per mio padre ero solo un microbo da schiacciare — dice uno —, mi ha minacciato, diceva che dovevo farmi curare». «Io sono stato aggredito dai miei fratelli, mi hanno picchiato, mamma non voleva ma non è riuscita a difendermi» confessa un altro. «Sono dovuta andare via con la forza pubblica, non volevano lasciarmi andare» dice C. con un filo di voce.
Il futuro
Ma dopo i traumi c’è la rinascita. E così P. racconta di aver appena conseguito la terza media con ottimi voti mentre M. ha preso la laurea triennale. C., invece, studia per diventare fotografa.
Carfagna li ascolta e promette di aiutarli. Intanto devolvendo una mensilità della sua indennità da vice presidente della Camera. Ma si spinge oltre: «Di fronte a queste vulnerabilità è compito delle istituzioni dare risposte concrete, facendo in modo che nessuna ragazza e nessun ragazzo in Italia venga lasciato solo» promette.
I finanziamenti
Di sicuro c’è bisogno di fondi. Una sola casa in Italia è una goccia nel mare considerando che nell’ultimo anno ci sono stati 400 casi gravi di maltrattamenti familiari per omofobia. Refuge Lgbt è nata nel gennaio del 2017 grazie all’impegno della Croce Rossa di Roma e del Gay Center con il contributo della Chiesa Valdese e della Regione Lazio.
«Forse sarà aperto qualcosa anche a Milano — spiega Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center — ma è sempre poco. In Francia di strutture del genere ce ne sono 44. Al numero verde Gay Help Line (800713713) nell’ultimo anno abbiamo avuto oltre 20 mila contatti». I ragazzi chiedono una possibilità: «Una volta diventato maggiorenne in Italia non hai più alcun diritto. Dovremmo poter sognare anche noi» dice uno di loro.
Articolo ripreso dal sito www.corriere.it